Sergio Filosi

L’opera di Laurence Feininger a Trento

di Sergio Filosi

 

Fortunatamente, una volta tanto, il calendario commemorativo presenta una sua logica interna. E se oggi, si rimemora il decimo anniversario della scomparsa di Laurence Feininger, ciò non dipende soltanto dalla coincidenza meccanica delle date. E’ in corso, infatti, da tempo soprattutto nelle università tedesche e americane un attento esame della straordinaria impresa musicologica approntata da Feininger in un lungo arco di tempo compreso tra il 1937 e il fatale inverno 1975.

Naturalmente Feininger è considerato nei diversi centri specializzati del mondo un gran musicologo, ma in verità è stato anche un musicista e un sacerdote. Comunque, per molti, rimane l’uomo instancabile che si propose la colossale impresa di catalogare tutto il materiale esistente composto per la liturgia della Chiesa Cattolica Romana. D’altro canto il richiamo a Feininger, se si vuole evitare soltanto un atto d’omaggio rituale, consente di scoprire i valori accordati alla teologia, all’etica, alla dottrina morale. Tali questioni indicano la centralità del problema e insistere in diverse forme non sarà mai sufficiente. In questo senso va inteso tutto il cammino di Feininger: la sua conversione al cattolicesimo, gli studi teologici e l’approdo al sacerdozio manifestano un concreto appello alla trascendenza, alla verità religiosa. È quindi all’interno di tali imperativi categorici che l’interpretazione qui posta, riceve tutto il suo significato.

Queste osservazioni cadono qui molto in anticipo e, tuttavia, esse sono espresse come avvertimento generale e orientativo. Per ora, invece, occorre rimettersi al seguente interrogativo: perché la tappa essenziale del cammino di Feininger è la città di Trento? Naturalmente la risposta più ovvia e semplice dice: Feininger rimane a Trento per la decodificazione dei sette Codici Trentini del ‘400. E se d’altra parte il lavoro musicologico sui Codici risale agli anni inquieti che precedono la seconda guerra mondiale, occorre riconoscere che la decodificazione complessiva dell’imponente raccolta pone i termini di un’ulteriore presenza di Feininger a Trento. Le sue prime edizioni del 1947, denominate Monumenta Liturgiae Polychoralis Sanctae Ecclesiae Romanae, costituiscono appunto quella ben nota indagine musicologica e liturgica delle antiche composizioni dei Codici. N’è riprova esemplare la successiva e sostanziale indagine dedicata alla nuova revisione del catalogo tematico dei Codici Trentini. In questo senso, in forza della riappropriazione dei Codici, Feininger rimane radicato all’Italia e a Trento, sebbene le sue vicende siano segnate drammaticamente, tra il 1943 e 1944, dall’esperienza dell’internamento nel «campo» del Castello di Montechiarugolo nei pressi di Parma.

Ma la natura profonda della sua presenza nella città dei Codici rimane ancora oscura. Se stiamo agli insegnamenti di Feininger i motivi più profondi sono conosciuti soltanto dall’imperscrutabile disegno della Divina Provvidenza. È a questo proposito che il riferimento al problema della dimensione religiosa acquista tutta la sua attendibilità. E se per alcuni biografi la correlazione dell’internamento di Feininger durante la guerra diviene fondamentale per rivelarne la consapevolezza della vita ecclesiastica, rimane pur sempre la sua antecedente conversione alla fede cattolica del 1934. E tuttavia l’originario filo conduttore della risposta che qui tentiamo di avviare, risiede nella formazione universitaria di Feininger a Heildelberg. Egli, infatti, non studia solo musicologia secondo gli intendimenti di Heinrich Besseler, ma filosofia alla scuola di Karl Jaspers, riconosciuto come uno dei maggiori esponenti dell’esistenzialismo contemporaneo. Da tale fecondo incontro con il pensiero di Jaspers, deriva probabilmente la visione sostanziale della vita di Feininger che s’ispira costantemente alla meditazione.

Sebbene tale precisazione possa sorprendere è facile accertare (e lo dice chi per anni è stato testimone dei suoi più profondi insegnamenti) che il passaggio allo stadio teologico è spesso il risultato di rigorose riflessioni intellettuali. Nell’occuparci della sua dimensione spirituale non si può quindi prescindere da quella che è definita l’esperienza della trascendenza. In tal senso, secondo le condizioni dell’esistenzialismo spiritualista appare nondimeno evidente il felice rapporto tra filosofia e religione. E se, tuttavia, per Jaspers la pienezza del pensiero è data in definitiva da una fede filosofica e laica, Feininger preferisce consolidare la sua conoscenza con le istanze dalla teologia dogmatica. Per questo, e soprattutto in ragione di ciò che è stato detto, consente di affermare che la verità religiosa si configura come l’ultima propaggine del suo cammino. Essa non è semplicemente o soltanto un indice, ma riveste il carattere dell’imperativo categorico. La raffinata sensibilità intellettuale e la profonda religiosità di Feininger (il retaggio dell’espressionismo del padre pittore Lyonel o se si vuole maggiormente approfondire quest’aspetto, l’eredità spirituale di un progenitore rabbino) presentano quindi l’altro spessore della questione. Solo ora possiamo intravedere i confini reali del problema e chiedere nuovamente: perché Feininger fissa la propria dimora a Trento?

Una seconda risposta è sicuramente rintracciabile in una sua lettera del 18 settembre 1949, inviata ai genitori negli Stati Uniti; in essa, infatti, specifica di voler creare a Trento un clima «singolare e fuori d’ogni competizione» e far sorgere una scuola corale. A questo proposito occorre rilevare che ciò che costatiamo e che più volte interpreteremo, è il senso del pregevole manoscritto di Lux Feininger che ci ha inviato da Cambridge, in occasione di questo Convegno. Vale ricordare che Lux Feininger ha circoscritto il carteggio del fratello Laurence negli anni che intercorrono tra il 1948 e il 1959, la cui analisi completa, d’altro canto, esigerebbe diverse puntualizzazioni. Comunque limitiamoci ad assumere soltanto i riferimenti necessari. S’intende che la precisazione, contenuta nella lettera sopra indicata, impone però alcune brevi osservazioni. Anzitutto è necessario ricordare che Feininger lavora a Roma, nell’immediato dopoguerra, per la Biblioteca Vaticana e l’Istituto Pontificio di Musica Sacra. Ed è ben noto che nel 1947, coadiuvato da mons. Carlo Respighi, istituisce la Societas Universalis Sanctae Cecilae. La via tentata dalla Societas mette in gioco l’effettiva portata dell’animazione pragmatica di Feininger e, se essa designa l’imperativo della catalogazione di tutta la musica sacra del passato, in seconda istanza esplicita i presupposti fondamentali della fruizione su vasta scala. Sta il fatto che per Feininger fallire o ignorare tale valenza della questione sarà come inseguire puri fantasmi, poiché contrariamente all’opinare comune la musica sacra è sempre Opus Dei.

Tesi queste che non si tradurranno mai in forme definite, sebbene Feininger si affretti, sin dal soggiorno romano, a consolidare la loro specificità nelle celebrazioni liturgiche. Naturalmente le difficoltà discendono in linea di principio dalla complessa situazione culturale pre-postconciliare, ma la cosa risulta ancor più chiara nell’ambito del pensiero di Feininger, dove la musica esige una teologia. E proprio da quest’ulteriore precisazione affiora una particolare strategia della pratica vocale che ha suscitato nell’ambito della critica internazionale molteplici e spesso discordi pareri Questo punto nodale è stato espressamente ribadito da Feininger sino alla fine dei suoi giorni. Egli riteneva di porre la questione nell’ambito di un’antica pedagogia, là dove l’esecuzione vocale si deve conformare alle modulazioni della parlata ed essere incline alla «naturalezza». Anzi solo la voce piena, vivace e dinamica, senza curiosità psicologica, rende il canto sacro. Tutto ciò è qui riferito non soltanto per mostrare una rinnovata arcaicità del canto liturgico, ma per trarre, sulla base di questi chiarimenti alcuni corollari del cammino compiuto. Si può ben comprendere allora il passo della lettera ancora in questione.- Il «clima singolare» che Feininger desidera creare a Trento è certamente un particolare centro d’istruzione musicale; e per altro verso si compie già qui il suo radicale orientamento verso un’intransigente riaffermazione dell’ortodossia cattolica.

Così il clima singolare auspicato da Feininger non sarà affatto «fuori competizione». È sufficientemente chiaro che i principi ai quali Feininger fa appello sanciscono il rifiuto radicale d’ogni proposta revisionistica del Concilio Vaticano II.

Il carattere tendente alla riappropriazione della tradizione dogmatica decide anche la possibilità di un’ultima interpretazione. Non sarà del tutto superfluo sottolineare che proprio la città di Trento è stata sede di un Concilio, i cui aspetti contro-riformistici consolidarono l’imperativo delle regole originarie. Il riferimento qui addotto è stato avanzato per precisare che alcune opere curate da Feininger sono dedicate con particolare entusiasmo ai Padri del Concilio di Trento. Evidentemente questo atteggiarsi di Feininger nei confronti dei Padri del Concilio lo chiamerà drammaticamente a compiere il percorso del dissenso. Ed è con questa possibile verità e con il destino che gli è affidato che Feininger rimane a Trento e fonda una schola cantorum con la denominazione «Coro del Concilio».

 

Le istanze culturali e il messaggio liturgico

Il cammino che Feininger intende inaugurare a Trento, stando ai suoi principi, svolge in concreto la questione della perpetuazione dello «stile sacro» del canto.

Sotto, dunque, la presenza del canto e del sacro, Feininger ritorna a Trento nella primavera del 1948, per realizzare, in occasione del Congresso musicologico, la Messa De Sanctissima Trinitate di Dufay. In questo periodo, ricorda il fratello Lux, Feininger si serviva di coristi professionisti romani, e tuttavia egli si proponeva di rintracciare altre voci e strumenti a Trento. Scrive, infatti, Feininger:

… alla stazione ci sono venuti incontro il signor Renato Lunelli, un musicista eccellente, che si rivelò veramente indispensabile per le nostre necessità e Dario Segatta, uno dei miei ragazzi che aveva fatto parte del gruppo precedente (quello delle attività giovanili a Trento antecedente alla guerra)… poi i Salesiani, vecchi amici, mi hanno aiutato con i loro ragazzi e con loro ho studiato tutto il programma del concerto in soli tre giorni…

Del resto, in questa circostanza accadde qualcosa di singolare: durante le prove del concerto, i cantori romani rinunciarono all’incarico e Feininger «dovette sostituirli in un batter d’occhio». Un fatto questo comprensibile solo se esso è ricondotto a quelle incondizionate istanze estetiche che Feininger viene manifestando. Proprio in relazione a quest’evento, con la sostituzione dei professionisti romani, si mette in cammino quella singolare esperienza del «Coro del Concilio» che coprirà una storia di vent’anni. Di questo lungo e importante tragitto, indicheremo soltanto una sintesi ideale.

Sin dall’inizio la produzione del Coro è interamente dominata dalle opere policorali romane del Sei/Settecento, scoperte da Feininger all’epoca in cui catalogava i manoscritti della Cappella Giulia a Roma. E d’altra parte, noi già sappiamo a cosa conduce l’impresa del Coro: essa ha svolto sì una funzione irripetibile quanto decisiva della nostra cultura trentina, ma denota soprattutto il carattere dello «strumento di propaganda fide». È in questo senso che il Coro è stato il mezzo per la realizzazione di un’espressione musicale «concretamente in grado (ricorda Feininger in una lettera del settembre 1948) di rapire una moltitudine di persone devote, sottoponendole ad uno stato molto vicino all’estasi».

Da qui deriva ciò che più volte è silenziosamente emerso: che il senso della vita di Feininger e della storia del Coro non è diverso; l’una e l’altra provengono dal destino profondo dell’ortodossia cattolica. Ora siamo però preparati a comprendere meglio il programma e le considerazioni indicate nella sua lettera del 27 settembre 1949:

… inizieremo con la Messa Tu Es Petrus a 16 voci, in quattro cori, di Benevoli, perché questa è l’opera che voglio realizzare ad ogni costo… Non è troppo difficile immaginare quanto questo sia importante per il nostro futuro, perché l’anno prossimo canteremo a Roma davanti al mondo intero…

In realtà, la gran prova d’esordio del Coro risale al 18 giugno 1950 a Trento. A questo proposito scrive Feininger: «… Molto di più che un semplice successo, era qualcosa simile ad un trionfo! La gente veniva da ogni parte, tra loro c’erano musicisti autentici…».

Ma, naturalmente, non va trascurata la circostanza veramente singolare in San Pietro a Roma, durante l’Anno Santo del 1950. Infatti non si può far a meno di dare rilievo all’entusiasmo con il quale Feininger rivive tal esperienza. Così scrive:

… la Chiesa era piena zeppa di gente, vi era rappresentato tutto il mondo… Avevamo deciso in quest’occasione di cantare il Gloria della Messa Tu Es Petrus, perché comincia con tutte le voci insieme ed era il modo più sicuro per attirare l’attenzione… Fu un’esecuzione eccellente… Pensate: proprio l’ambiente per il quale questa musica era stata scritta, e la prima volta, dopo quasi tre secoli, essa tornava a risuonare… quando il Santo Padre venne dai nostro lato ci salutò in modo straordinariamente caloroso e (parlando a me) si congratulò per i miei ragazzi e per tutto il Coro, invitandoci a perseverare e a tornare di nuovo..

D’altra parte c’è una ragione per la quale è venuta l’idea di riferire lo scorcio dell’avventura romana. La ragione essenziale si pone soprattutto nel rapporto che Feininger intende intraprendere con le autorità supreme della Chiesa; il fatto è che assicurarsi il beneplacito di Papa Pio XII non poteva che offrire stabilità e durata all’impresa del Coro. In ogni caso, però, non deve sfuggire che in queste e altre imprese si disegnano le condizioni di quel cammino che sarà rivolto ad una conclusione nichilistica. Ai nostri fini, sarà sufficiente aggiungere che il «Coro del Concilio» conosce il successo in tutta Europa, soprattutto nell’area nordica: centinaia e centinaia di giovani, in diverse fasi, contribuiranno ad un’operosità concertistica di primo piano. I1 risultato di questo lavoro «glorioso» deriva soprattutto dalla idea fecondissima di reclutare i giovani coristi presso le scuole pubbliche di Trento. Tutto ciò va ribadito per indicare che proprio nella strategia dei pueri cantores, è riposta la condizione necessaria per realizzare le composizioni sacre. Anzi, questa è la sola via autentica, la via possibile dell’incarnazione del messaggio liturgico. Nelle lettere raccolte dal fratello Lux si legge:

… Il nostro modo di cantare, invece, presenta una potenza e una qualità di tono che non piace a molte persone e che è classificata come «mancanza d’esercizio vocale»… Cantare il nostro repertorio con la qualità perfezionata del «tono corale» avrebbe reso il nostro canto poco pregnante e, interpretarlo con una «repressione vocale» l’avrebbe immediatamente ucciso…

Ciò che intende qui Feininger, emerge del tutto chiaro in occasione di un concerto tenuto ad Essen nel 1952. Egli scrive:

… La Messa alta… è stata trasmessa da Radio Hilversum… il presentatore della radio… durante la trasmissione ha affermato che la chiave di comprensione di quella musica era proprio nel nostro modo di cantarla: i ragazzi, con le loro voci naturali, hanno reso con disinvoltura una quasi illimitata varietà di timbri di voci, come un grande organo!

Si spiega così, in questi pregnanti passi, la natura più profonda delle istanze interpretative adottate dalla corale di Trento. Riflettendo comunque sull’essenza di questa pratica si pone in luce ancora una volta la pura dimensione spirituale che trascende il carattere strettamente musicale ed artistico.

E se per Feininger tutto è ridotto a rito, o meglio tutto si dilegua nel sacro, proprio la rimozione del sacro perpetrata dal Concilio Vaticano II sarà la causa della completa dissoluzione del «Coro del Concilio». L’argomento meriterebbe uno svolgimento più adeguato. Qui ci limitiamo a fissare un ulteriore aspetto della questione.

Nell’atto costitutivo della corale, registrato il 7 gennaio 1956 a Trento, non ci si limita, nell’articolo 2, a specificare «l’impartizione giornaliera gratuita di lezioni di musica», ma si evidenzia anche «la cura della salute fisica e morale dei ragazzi». Il fratello Lux illustra questo aspetto annotando tra l’altro che Laurence «fondò un circolo per i ragazzi… e si diede da fare anche con le collezioni di francobolli ed altri hobbies; ma l’attrazione principale, di là dagli apprezzamenti del pubblico… era il “campus” che si faceva ogni anno oppure le vacanze estive con i ragazzi in montagna». Ebbene, intravediamo in queste e altre testimonianze la priorità del richiamo alla dimensione pedagogica, il cui avvincente messaggio riafferma motivi di fondo del problema educativo. Quest’ultimo aspetto non rappresenta una sovrastruttura fra le tante, ma nasce invece dal terreno di una concreta dottrina morale. Feininger ha sempre rivendicato il pieno diritto allo studio e, tuttavia, questa sua perorazione non è mai stata disgiunta dalla formazione morale. Il dovere della formazione morale, non sempre riconosciuto e realizzato dagli educatori, scandisce, contrariamente a quanto si possa pensare, l’esperienza più emblematica di Feininger nella città di Trento.

In definitiva, notiamo a questo proposito che il metodo della educazione morale ha consentito, più di qualsiasi costrizione o disciplina esteriore, quell’esperimento indiscutibilmente straordinario quale è stato il «Coro del Concilio» di Trento.

Si deve allora concludere, con le parole di Lux Feininger, che «cominciando con poco o niente, egli cercò di ricreare a Trento una Società quasi in miniatura che nella sua ottica doveva rappresentare lo «Stato ideale», e dove ogni componente «possiede un’anima di cui vale la pena occuparsi».

 

L’eredità

Tappa essenziale e ulteriore del cammino di Feininger a Trento è certamente il progetto di una Biblioteca musicale. Non è qui necessario ripercorrere le vicende del fortunoso e drammatico recupero sul mercato antiquario del patrimonio liturgico-musicale in questione. Più precisamente, il problema di una ricostruzione complessiva della biblioteca è il tema conduttore dei pregevoli saggi apparsi nel catalogo della mostra La Biblioteca Musicale Laurence Feininger, allestita da oggi nei locali del Castello del Buonconsiglio di Trento.

Basterà quindi ribadire che l’intera collezione, in parte acquistata dalla Provincia e in parte donata dagli eredi dello studioso al Museo degli usi e costumi della gente trentina, riveste un indubbia rilevanza, tale da garantire un avvenire musicologico indiscutibilmente nuovo e produttivo. Analoga conclusione si dovrebbe trarre, sia per lo straordinario archivio fotografico di manoscritti e stampe, redatto e stampato da Feininger negli anni tra il ’50 e ’60, sia per le sue pubblicazioni della Societas Universalis Sanctae Ceciliae. Da ciò deriva facilmente che il lascito apre un compito che è importante saper cogliere e utilizzare. I1 problema non è il mero fatto storiografico e classificatorio; una lettura complessiva dell’opera di Feininger pone in questione soprattutto la possibilità della rimozione dell’intera liturgia latina, sia romana che ambrosiana. Rimane inteso che il lavoro di Feininger è il punto di partenza importante per l’esame critico di nuovi capitoli della storia della musica policorale romana e, tuttavia, la sua attività non ha mai avuto il senso della pura decodificazione.

E’ noto che la collezione di Feininger è costituita soprattutto da frammenti e resti di codici e, nonostante questo, assume una valenza fondativa, in quanto, per altro, il suo oggetto è «l’impareggiabile mezzo per comunicare la Dottrina della Verità». Pensare queste corrispondenze, naturalmente è arduo; non a caso Feininger parlò di «raccogliere questi resti preziosi per conservarli e trasmetterli alle future generazioni».

Ci limitiamo ad assumere un punto di vista particolare: perché mai i segni liturgico-musicali dovrebbero essere trasmessi alle future generazioni? Anzi tutto Feininger pensa che il passato (il Cantus Planus, il canto liturgico) ci attende al varco nel futuro. In altre parole, e questo lo diciamo noi, i segni del passato devono essere rimossi per evitare il dominio dei segni della morte sui segni della vita; in secondo luogo, la vera e propria funzione rappresentativa dell’uomo consiste sempre nel rapportarsi con la divinità, con la verità rivelata.

Cominciamo soltanto ora a comprendere in che senso musicologia e teologia sono poli di una medesima relazione. È dunque per una teologia della musica che Feininger ha rifiutato insegnamenti e cattedre presso le università americane e che, in definitiva, per precisa scelta decise di trascorrere gli ultimi anni a Trento in appartata solitudine, confortato soltanto da un rinnovato amore per la composizione. La questione, così sollevata, pone indubbiamente imbarazzo e non pochi interrogativi. Ma forse l’imbarazzo vien meno se ci accostiamo al problema con le parole di Edward Lowinsky: «L’eredità di Feininger forgia una chiave maestra per un tesoro unico. Incombe su di noi l’obbligo di portarlo alla luce». Per quanto ci riguarda, ne deriva una conclusione aperta all’intento specifico che l’attività di Feininger abbia un seguito, proprio nella città di Trento, definita dallo studioso «patria di elezione» e «piena di gente affettuosa».

 

Da: I Codici Musicali Trentini I° (Atti Convegno), 1986