Marco Gozzi

Laurence Feininger musicologo-editore e il Coro del Concilio

di Marco Gozzi

 

La vastissima attività musicologica di Laurence Feiniger ha due caratteristiche peculiari, rare nel mondo accademico: nasce da una vigorosa spinta ideale e mostra una grande concretezza. Ciò che muoveva don Lorenzo, in ogni aspetto del suo appassionato lavoro, era la ferita di una bellezza, che egli aveva ricevuto ventiquattrenne nella Germania nazista del 1933: la bellezza della liturgia cattolica di rito latino. Egli fu battezzato a venticinque anni nel monastero benedettino di Stift-Neuburg (nei pressi di Heidelberg) nel 1934, abbracciando la verità di cui quella bellezza era splendore. Da quel momento ogni sua energia fu rivolta a salvare dall’oblìo e dalla dispersione tanti tesori di musica sacra cattolica composti soli Deo gloria, tanto da connotare il suo lavoro non come un’attività culturale, ma come una vera e propria missione.[1]

Il punto generatore di tutti i suoi interessi non era dunque l’ambizione, o la curiosità, o l’erudizione specialistica, ma un vigoroso fascino, suscitatore di iniziative personali energiche, perseguite con estrema determinazione. Questo fatto spiega l’anomalia della sua produzione musicologica e l’enorme quantità di lavori rimasti inediti o mai esplicitati per iscritto.

In una lettera, scritta il 21 gennaio 1975 alla clavicembalista Hilda Jonas, Feininger palesa con chiarezza il suo metodo di lavoro, molto diverso da quello dei suoi professori universitari:

Nonostante io abbia avuto, come insegnanti, persone di indubbia levatura come Willy Apel, Heinrich Besseler e Wolfgang Fortner, devo confessare di non essere stato un allievo di loro piena soddisfazione: in tal senso credo meglio definirmi un autodidatta. In realtà non avevo certo bisogno di fare continui esercizi di contrappunto, in quanto conoscevo la materia perlomeno quanto i miei insegnanti. A questa conoscenza ero arrivato dal semplice e diretto studio delle partiture di Johann Sebastian Bach, di Josquin des Prez e di tutti gli altri musicisti che mi affascinavano: dal che potevo dedurre che, se mai dovevo fare qualcosa, dovevo farlo per me stesso, e non certo ai fini di un ridicolo esame scolastico o per conseguire un discutibile diploma ufficiale. Mi resi conto di ciò in una situazione curiosa: il professor Besseler, che godeva fama di modernità e di applicare metodologie avanzate, mi mise a disposizione con grande generosità per la mia tesi di laurea il suo archivio fotografico. Pensai che era proprio un peccato avere tra le mani tutto quel materiale da studiare e non provvedere contemporaneamente a trascriverlo da capo a piedi: pensarlo e farlo fu tutt’uno. E nell’opera di trascrizione mi trovai a fare le più emozionanti scoperte e mi affrettai a discuterne con Besseler: scoprii che risultavano tali a lui come a me! Da ciò dedussi che il vecchio sistema del ‘maestro’ che fa fare agli allievi lo sporco lavoro di preparazione del materiale – l’opera di trascrizione non essendo considerata a livello della sua dignità – comporta l’impossibilità di avvicinare il meglio e non è assolutamente il metodo adatto per ‘possedere’ il materiale originale di cui si dispone: insisto e dico che la trascrizione in partitura delle parti separate è l’unico metodo per arrivare a conoscere intimamente la personalità di qualsiasi autore di qualunque periodo.[2]

Feininger aveva dunque sperimentato che “l’unico metodo per arrivare a conoscere intimamente la personalità di qualsiasi autore” era la trascrizione delle parti separate in partitura. Ed egli conosceva meglio di qualunque altro musicista o musicologo al mondo la produzione sacra polifonica dal XIII al XVIII secolo, perché aveva trascritto di suo pugno una quantità impressionante di musica. Questo gli permetteva di attribuire su base stilistica composizioni tramandate anonime dai manoscritti, in un modo assai simile a quanto fanno gli storici dell’arte. Alcune di queste attribuzioni sono poi state confermate, altre smentite.[3] Il punto debole del suo approccio era unicamente lo scarso controllo dell’attendibilità delle ascrizioni presenti sui manoscritti: Feininger, ad esempio, riteneva la celebre Missa Caput opera di Guillaume Dufay (o, più correttamente, Du Fay) in base all’attribuzione errata dello scriba Johannes Wiser a c. 246v del codice Tr 89, mentre la Missa è opera di un autore inglese rimasto anonimo; per questo motivo Feininger attribuì a Dufay anche alcune composizioni oggi ritenute sicuramente di autori inglesi.[4] L’ottima conoscenza dello stile deve dunque essere unita al vaglio critico della tradizione manoscritta.

In ogni caso il sistematico modo di procedere di Feininger nella trascrizione gli permise una conoscenza approfondita della produzione sacra, mai eguagliata dai colleghi musicologi e gli permise anche di fare numerose scoperte (alcune mai pubblicate o consegnate solo a brevi annotazioni manoscritte sulle schede o sugli inventari dei codici che compilava minuziosamente) e anticipazioni pionieristiche, come il riconoscimento della straordinaria qualità artistica della produzione policorale di Benevoli e degli altri autori di scuola romana, ancora oggi assai trascurati dagli studi specialistici.[5]

Ecco il modo utilizzato da Feininger nell’affrontare la ricerca musicologica: prima vedere tutto, trascrivere tutto, a tappeto: raccogliere le fonti, ricopiarle, confrontarle, pubblicarle ed eseguirle. Dopo questo lavoro immane, e solo dopo, si poteva dire qualcosa su ciò che si conosceva. Per questo ci rimane assai poco (in confronto alle numerosissime edizioni musicali, alla straordinaria biblioteca e all’archivio fotografico) per quanto riguarda la riflessione storica e teorica di Feininger rispetto alla produzione sacra dal Duecento all’Ottocento. I suoi ordinatissimi volumi di trascrizioni, stesi con calligrafia minutissima direttamente in bella e a penna, conservati al Pontificio Istituto di musica sacra di Roma,[6] al Castello del Buonconsiglio di Trento e nella biblioteca Curti stanno a testimoniare l’immenso lavoro di conoscenza personale delle fonti musicali che Feininger aveva intrapreso.

L’attività musicologica di Laurence Feininger è testimoniata dunque anzitutto dal suo prezioso e consistente lascito di manoscritti, libri a stampa, negativi, fotografie e trascrizioni musicali. La sua preziosa biblioteca è ora conservata presso il Castello del Buonconsiglio di Trento, tutelata e valorizzata dalla Soprintendenza per i beni librari e archivistici della Provincia autonoma di Trento attraverso cataloghi, pubblicazioni e convegni.[7]

            Un posto non trascurabile nella testimonianza dell’impegno musicologico di Feininger è poi rappresentato dalle sue numerosissime pubblicazioni musicali e musicologiche (studi monografici, articoli su riviste specializzate, cura di edizioni, cataloghi tematici)[8] e in particolare dalle edizioni della Societas Universalis Sanctae Ceciliae, casa editrice da lui fondata e diretta: 19 volumi dell’Opera Omnia di Benevoli, 33 volumi di Documenta Liturgiae Polychoralis (mottetti e Messe di Benevoli, Cannicciari, Carissimi, Cifra, Giorgi, Heredia, Pitoni), 14 volumi di Documenta Polyphoniae Liturgicae (Messe quattrocentesche di Binchois, De La Rue, Dufay, Dunstable, Franchois, Power, Standley); 39 volumi di Monumenta Liturgiae Polychoralis (Messe, Salmi e Mottetti di Benevoli, Fabri, Foggia, Giorgi, Ingegneri, Massaino, Naldi, Petti, Pisari, Pitoni, Suriano) e 21 volumi di Monumenta Polyphoniae Liturgicae (Messe quattrocentesche di Basiron, Busnois, Caron, De Orto, Dufay, Faugues, Ockeghem, Regis, Tinctoris, Vaqueras e anonimi).[9]

 

Gli studi musicologici di Feininger si rivolgono principalmente a tre grandi aree tematiche, che egli affrontò da pioniere e che riguardano tutte la musica liturgica cattolica su testo latino:

a) durante gli studi universitari e sino al 1946 circa Feininger concentrò la ricerca sulla musica del Duecento, Trecento e Quattrocento (non solo sacra) e, in particolare, sui sette codici musicali trentini (la maggiore collezione esistente al mondo di musica del XV secolo), che rappresentano anche uno dei motivi della sua affezione per Trento. Già la sua tesi di laurea, discussa con l’illustre musicologo Heinrich Besseler (1900-1969) nel giugno del 1935 e pubblicata due anni dopo,[10] mostra un’attenzione privilegiata per questo tipo di repertorio, dato che riguarda la storia del canone fino all’anno 1500. Il canone è un procedimento contrappuntistico utilizzato nelle composizioni polifoniche dove una melodia, intonata da una delle parti, è imitata nella sua interezza da un’altra parte o da più parti, talvolta con aggravamenti o diminuzioni dei valori delle note (ad esempio due volte più veloci o più lenti).

b) Dopo la fine della guerra (1946), contestualmente alla sua ordinazione sacerdotale e al suo lavoro di collaborazione scientifica in Biblioteca Vaticana e al Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma, Feininger scoprì le composizioni a più cori della scuola romana del Sei-Settecento, un repertorio allora sconosciuto, che Feininger affrontò con il consueto impeto fotografando e trascrivendo tutto ciò che si trovava nelle biblioteche di Roma e d’Europa. Ma la folgorazione del repertorio policorale lo spinse anche a fondare un coro che rendesse suono vivo quelle straordinarie partiture; nacque così il Coro del Concilio.

c) Il terzo aspetto, che interessò Feininger negli ultimi anni di vita, fu il recupero dei codici e delle edizioni che tramandavano il canto cristiano liturgico (il cosiddetto gregoriano), in particolare i libri posteriori al XV secolo. Dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965), con l’introduzione delle lingue volgari nella liturgia, il canto gregoriano fu quasi ovunque abbandonato, e i volumi che raccoglievano questo repertorio secolare furono dispersi, distrutti o smembrati per essere venduti dagli antiquari come fogli separati. Ma il recupero di questo patrimonio liturgico, avviato nel 1967, aveva un costo elevato: Feininger cominciò dunque a vendere i quadri del padre Lyonel per poter acquistare i preziosi testimoni di canto cristiano.

La fondazione e l’attività più che ventennale del Coro del Concilio non fu per Feininger un hobby o una marginale e temporanea passione, ma l’esito obbligato della sua ricerca: non si poteva tener nascosto al mondo un così grande tesoro di bellezza. Fu dunque proprio la scoperta del valore e della potenza espressiva della musica di Benevoli che spinse Feininger a stabilirsi definitivamente a Trento e a fondare il coro, come scrive in una lettera del 18 settembre 1949 alla famiglia: “Questo è il motivo per cui torno a Trento: per vedere se posso metter su un coro per la Messa [Tu es Petrus] di Benevoli”,[11] e poco più tardi scriverà: “Si riporterà in vita questa musica e si conquisterà con essa il mondo intero, sarà uno strumento di propaganda fide molto più efficace dei grandi discorsi radiofonici”.[12]

Perché coro ‘del Concilio’? Nella considerazione comune e nelle storie della musica tra il Concilio di Trento (1545-1563) e l’opera di Orazio Benevoli (1605-1672) non esiste alcun legame. Feininger invece aveva compreso benissimo che l’unico vero esito dei pur brevi pronunciamenti conciliari in materia di musica liturgica fu il barocco colossale di scuola romana.

Il Concilio di Trento volle ristabilire la verità profonda dell’immagine sacra (rispetto all’arte figurativa) e della musica sacra nella liturgia, fu per questo che l’arte del Seicento (sia quella figurativa sia quella musicale) poté lanciarsi nelle più ardite invenzioni, poiché, come ha scritto Jedin, “dopo il suo rafforzamento interiore il cattolicesimo si impadronisce del senso barocco della vita, sorto indipendentemente da esso, e lo usa ai suoi fini”.

Feininger dedicò la sua edizione dell’opera omnia di Benevoli, campione del barocco colossale,

PATRIBUS CONCILII TRIDENTINI QUI HOC SIBI MONUMENTUM COMPARARUNT
Ai padri del Concilio di Trento, che prepararono a se stessi questo monumento;

comprese dunque per primo che furono i padri conciliari non solo a permettere che la musica sacra cattolica proseguisse nella sua strada di bellezza e di ornamento della liturgia, ma che si purificasse e potenziasse diventando quel “mezzo per un’espressione musicale in grado di rapire concretamente una moltitudine di persone devote, portandole ad uno stato molto vicino all’estasi”, come egli scrisse in una lettera alla famiglia del 5 settembre 1948. La lettura di un passo più ampio di quel documento può essere illuminante rispetto alla storia del coro e al suo repertorio:

Riesco a vedere ora, in questa musica barocca colossale, uno sviluppo profondamente logico e, da un punto di vista liturgico, così valido da raggiungere con ogni probabilità l’acme assoluto di ciò che potrebbe essere toccato… così, il gigantesco allargamento del cantus firmus all’unisono in tutti i cori, alla fine delle fughe del Gloria e del Credo, è chiaramente un’eredità del Rinascimento e addirittura della pratica medioevale del cantus firmus; ma l’elemento veramente nuovo è che ora se ne è perfettamente consci e con una intenzione davvero moderna ed esplicita esso è impiegato come mezzo per un’espressione musicale in grado di rapire concretamente una moltitudine di persone devote, portandole ad uno stato molto vicino all’estasi.[13]

Il barocco colossale, con la sua ricchezza di timbri, di organici, di ritmi, di contrasti, è considerato giustamente da Feininger l’esito più fecondo, carico di bellezza e ‘valido dal punto di vista liturgico’ di quelle poche parole riguardanti la musica sacra che i padri conciliari vollero lasciare nei decreti ufficiali.

Coro ‘del Concilio’ fu dunque chiamato quel coro, che per il suo creatore doveva far nuovamente risuonare la bellezza della musica policorale seicentesca.

Le convinzioni di Feininger sulla ‘sonorità’ di questa musica sono altrettanto nuove e in contrasto con le mode dell’epoca. Egli le espose con chiarezza in una conferenza in inglese che tenne nella primavera del 1956, in America. La conferenza si conclude così:

Ora l’ultimo problema a cui vorrei alludere è: “come deve essere eseguito questo tipo di musica”? Cantarlo semplicemente non è abbastanza. La bellezza standardizzata di voci umane istruite professionalmente non è idonea, per la semplice ragione che ciascuna parte in un ‘tutti’, o nello sviluppo di una fuga, possiede un campo timbrico troppo limitato, che deve essere bilanciato artificialmente in contrasto agli altri, e il risultato sarebbe un’inutile confusione senza unità. Le voci femminili devono essere escluse per questa ragione. L’unico modo, a mio giudizio, è di bilanciare ciascun gruppo di cantori e di combinare ciascun coro sin dall’inizio secondo il carattere timbrico delle loro voci naturali: c’è una grande varietà nelle voci dei bambini.

Facendo questo si raggiunge una unità musicale paragonabile a quella di un grande organo con quattro manuali: ciascun coro rappresenta un manuale sul quale è suonata l’intera parte, con registri timbricamente differenti da quelli degli altri manuali. Lungo tutto il pezzo ciascun coro può essere distinto, attraverso il suo timbro caratteristico, da tutti gli altri cori, rappresentati dagli altri manuali, con i loro registri e timbri individuali. Nel momento in cui tutti i quattro cori si uniscono simultaneamente, si fondono naturalmente nel suono completo del ripieno dell’organo.

La disposizione generale che sto usando è questa: per il primo coro seleziono quei ragazzi le cui voci, tradotte in linguaggio organistico, corrisponderebbero al principale. Per il secondo coro prendo quelli che corrisponderebbero alle viole, per il terzo i flauti e per il quarto le ance.

A mio giudizio, l’espressione dinamica diventa un problema del tutto subordinato, e la ricerca dell’espressività, nel senso corrente del termine, distruggerebbe del tutto questa musica. La linea principale di bilanciamento dinamico e di sviluppo è nella musica stessa: la musica è costruita in modo prevalentemente architettonico, qualsiasi enfasi su un dettaglio diventerebbe una distorsione a danno dell’insieme. E oltre che architettonica questa musica è ritmica in tale grado, e con tale bilanciamento interno, che non necessita di alcuna sottolineatura o accento particolare, che pure non farebbero altro che capovolgere o, almeno, danneggiare il flusso ritmico nella sua continuità. Questo non significa che il ritmo debba diventare meccanico, come voi potrete ora giudicare da voi stessi.[14]

Oggi sappiamo che la musica policorale del Seicento era eseguita da voci maschili di cantori solisti professionisti (massimo tre per voce nel caso dei cori di ripieno, normalmente – però – un solo cantore per voce), con ampio uso di falsettisti e castrati, ma Feininger ricerca un suo diverso e personale ideale sonoro. È lo stesso ideale sonoro ribadito nell’Apologia Institutionis Choralis Concilii Tridentini (fondamentale per capire il suo pensiero sulla prassi esecutiva), che Danilo Curti ha pubblicato nel volume di Atti sulla Scuola policorale,[15] dove Feininger sottolinea che la sua non è una preoccupazione storica (oggi diremmo ‘filologica’), bensì unicamente artistica, e che

se anche qualcuno mi portasse delle testimonianze storiche che contraddicono le mie convinzioni in materia, le discuterei, come anch’io, pur avendone a mio favore, non le metterei alla base delle mie argomentazioni.

La musica scritta rimane, la sonorità passa. Ai tempi di Mozart si eseguivano le sue musiche, sotto la sua direzione, come le sentiva lui stesso; o meglio come le vedeva lui stesso […]; nel secolo scorso, con lo stesso entusiasmo, si eseguivano come era la convenzione e la convinzione del tempo; oggi forse con meno convenzione, ma anche con minor convinzione ancora: ma in nessun tempo si penserebbe di cambiarle nella loro essenza, ritoccando la partitura scritta e apponendovi delle ‘correzioni’. Nessuna musica può mai raggiungere tramite la sonorità il cento per cento di quello che essa contiene di visione musicale, che è al di sopra delle capacità dell’orecchio umano e della capacità di di coordinazione della memoria e dell’immaginazione, cioè del suono già passato e di quello ancora da venire. Il suono perciò varia, la musica rimane.

Il passo è importante, perché distingue tra pensiero musicale e ‘sonorità’. Compito del moderno esecutore non è far rivivere l’autentica sonorità del passato (se mai fosse possibile – il timbro dei castrati, ad esempio, è perduto per sempre –), ma cercare una nuova sonorità, adatta all’orecchio dei contemporanei, e vicina all’ideale sonoro del compositore. Egli denuncia il suono dei cori tradizionali come “relitto di sentimentalismo e falsificazione”, si scaglia contro il modo di cantare della Cappella Sistina, che ritiene “una delle prime se non la prima causa responsabile delle decisioni così drasticamente negative del Concilio Vaticano II rispetto a tutto il patrimonio della Polifonia Sacra Liturgica” ed esalta il fascino delle voci di bambini, che nasce dalla “candidezza non professionale della creatura di Dio innocente e incontaminata da sofismi imparati”. E prosegue:

Ma vi sono ancora altri argomenti in favore di una interpretazione diversa da quella tradizionale: argomenti che riguardano lo spirito della liturgia stessa. Nella musica dell’Ottocento del cosiddetto Romanticismo prevaleva e trovava espressione nella musica ogni sentimento umano e personale-individuale, mentre contemporaneamente la liturgia, che essenzialmente è abbandono dell’individuo nella comunità, che nella musica cerca un’espressione impersonale e super-personale, ebbe la sua decadenza più completa; conseguenza logica e diretta di questo sviluppo che coinvolgeva tutta l’umanità. […]

La musica sacra, come gran parte dell’arte sacra ‘popolare’ è caduta in un individualismo dolciastro e sentimentale che, anche nell’esecuzione della polifonia classica, sostituisce il carattere liturgico universale con un carattere umano e personale. Ed è qui che diventa necessario porre rimedio, ritornando ad uno ‘stile’ veramente liturgico nel cantare.

Ed ecco spiegato quel voluto suono ‘impersonale’ e ‘naturale’ (talvolta ‘selvaggio’, nel senso di ‘incontaminato da sofismi imparati’ o – per i critici – ‘non educato’) che le registrazioni del coro restituiscono e che Feininger ricercava. Un tipo di emissione sconosciuta alla tradizione corale europea, che rappresenta la singolarità e la novità (si potrebbe dire ‘il marchio di fabbrica’) delle esecuzioni del Coro del Concilio, ma che attirerà diverse critiche degli addetti ai lavori, convinti assertori della necessità di una educazione e di una corretta impostazione delle voci, oltre che di un colore uniforme nel suono del coro, colore uniforme che era invece considerato da Feininger un totale appiattimento della necessaria varietà timbrica e una dolciastra contaminazione della purezza vocale “della creatura di Dio innocente”.

Ma quale fu il repertorio del Coro del Concilio? Il coro fu costituito anzitutto per eseguire la Missa Tu es Petrus di Benevoli a 16 voci (quattro cori a quattro voci: Soprani, Contralti, Tenori e Bassi), una partitura difficoltosa e di straordinaria bellezza, sapientemente costruita con estrema varietà di espressione e di trattamento delle voci. Analoghe caratteristiche stilistiche si ritrovano in molte altre partiture affrontate dal Coro con spavalda incoscienza. L’elenco delle principali composizioni studiate dal Coro del Concilio (si veda l’APPENDICE 2) mostra infatti la grande quantità di opere impegnative messe in repertorio. La maggioranza (23 su 44) sono di Orazio Benevoli, e oltre la metà di queste partiture benevoliane sono a sedici voci.

La figura e l’opera di Orazio Benevoli (1605-1672) sono entrambe scoperte musicologiche di Feininger e tuttora la bibliografia fondamentale su di lui si basa su opere di don Lorenzo.[16] Il piccolo Orazio, figlio di un pasticcere della Lorena (Robert Venouot, cognome italianizzato da Orazio in Benevolo o Benevoli), fu affidato dal padre al collegio annesso alla chiesa romana di San Luigi dei Francesi nel 1617. A soli diciott’anni, terminati gli studi, fu assunto come maestro di cappella a Santa Maria in Trastevere. Nel 1630 passò nella chiesa di Santo Spirito in Saxia, occupando anche il posto di organista e di insegnante di musica. Nel 1638 sostituì il suo vecchio maestro Vincenzo Ugolini a San Luigi dei Francesi, ma nel 1644 si trasferì a Vienna al servizio dell’arciduca Leopoldo Guglielmo d’Asburgo, fratello dell’imperatore Ferdinando III. Tornato a Roma due anni dopo, per breve tempo diresse la Cappella Liberiana in Santa Maria Maggiore e infine fu maestro della Cappella Giulia in Vaticano (dal 1646 alla morte). Il 14 agosto 1650 fu ripresa a Roma, nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva, la sua Messa a 48 voci in 12 cori che era stata composta per l’inaugurazione del Duomo di Salisburgo, avvenuta il 25 settembre 1628 sotto la direzione di Stefano Bernardi.

Per diverso tempo si ritenne che la partitura di questa importante Messa di Benevoli fosse quella conservata nel Museo Carolino-Augusteum di Salisburgo, a 53 voci, pubblicata per la prima volta da Guido Adler nel 1903 e contenente anche l’inno Plaudite tympana in onore di san Ruperto.[17] Feininger pubblicò il monumentale facsimile del manoscritto, sotto il nome di Benevoli, nel 1969, ma Ernst Hintermaier nel 1977 ha dimostrato che il codice del Museo Carolino non è quello della Messa eseguita nel 1628, ma contiene una Messa probabilmente eseguita a Salisburgo nel 1682 e forse opera di Heinrich Biber. Resta aperta la possibilità che la partitura conservata a Salisburgo sia una rielaborazione tarda della perduta Messa colossale del giovane Benevoli (nel 1628 egli aveva solo 23 anni).[18] Nell’agosto del 1974 Feininger, impegnato a Salisburgo nella registrazione della Missa Salisburgensis con l’Escolana de Monserrat, il Tölzer Knabenchor e il Collegium aureum diretti da Ireneu Segarra, scrisse a Danilo Curti a proposito dell’attribuzione:

La discussione sulla paternità o no di Benevoli è lungi dall’essere decisa dal semplice fatto (sospettato anche da me da molto tempo, per causa dei molti e gravissimi errori nelle due partiture, che evidentemente erano state trascritte da parti singole) che si è potuto dimostrare che sono state scritte da un copista salisburgense della seconda metà del ’600, e su carta derivante da una cartiera del Salisburgense, circa dello stesso periodo; lo stesso vale per la Messa di Bruxelles, della quale esiste un’annotazione presso Fétis che proviene da Praga. Ma ho molti argomenti molto validi da sostenere egualmente la paternità di Benevoli. Ma di questo occorrono altri studi, e non è certamente questo il luogo di prolungarsi.[19]

Purtroppo Feininger non ha avuto occasione di esplicitare i ‘molti argomenti validi’ a sostegno dell’attribuzione della Missa a Benevoli, e resta dunque ancora spazio per ulteriori indagini.

Pur avendo composto alcune Messe e Mottetti a 3, 4 e 6 voci, Benevoli utilizza con maggior frequenza gli organici monumentali da due a quattro cori (Messe, Salmi e Magnificat da otto a sedici voci reali), utilizzati sia nello stile ‘pieno’ (prevalentemente omoritmico) sia in quello concertato (con opposizione fra solisti e masse corali), con l’accompagnamento strumentale sempre confinato al solo basso continuo.

La figura di Benevoli, nonostante le pubblicazioni di Feininger, la riproposizione della sua musica nel Festival Trento Musicantica e il lavoro di approfondimento scientifico sollecitato da Danilo Curti, non è ancora stata riscoperta dalle case discografiche e dal mondo degli appassionati, ed è ancora rarissimo poter ascoltare composizioni di Benevoli in concerto o in disco.

Analoga sorte tocca anche agli altri due autori entrati nel repertorio del Coro del Concilio: Giuseppe Ottavio Pitoni (1657-1743) e Giovanni Giorgi (ca. 1700-1762). Il primo, che ebbe la sua formazione a Roma, a diciassette anni era già Maestro di Cappella a Monterotondo e, dall’anno successivo (1674), ad Assisi. Due anni dopo si recò a Rieti, ma dal 1677 svolse la sua attività prevalente nella collegiata di San Marco a Roma, pur operando anche in Sant’Apollinare (la chiesa del Collegio Germanico, nel quale Pitoni abitò per tutta la vita), in San Lorenzo in Damaso, in San Giovanni in Laterano e in Cappella Giulia. Dal 1696 al 1731 fu anche al servizio privato del cardinale Pietro Ottoboni. Pitoni fu il più celebre compositore di musica sacra ed una delle massime autorità in campo teorico e didattico del suo tempo; ebbe fra i molti allievi Leo, Feo, Bonporti, Chiti e Durante. La sua sterminata produzione sacra (elencata nel catalogo tematico pubblicato nel 1976 da Siegfried Gmeinwieser) contiene circa 270 fra Messe e parti di Messa (di cui 100 Messe a otto voci in due cori, 9 a sedici voci in quattro cori), centinaia di Salmi, duecento Magnificat, 250 inni, Litanie, Improperia, Mottetti, sezioni del Proprium Missae, Oratori e Passioni.

La biografia di Giovanni Giorgi è assai meno documentata: si sa soltanto che fu il successore di Pitoni come Maestro di cappella in San Giovanni in Laterano dal settembre 1719 e che dal 1725 alla morte fu Mestre de capela alla corte di Lisbona. Anch’egli ha lasciato una produzione sacra di tutto rispetto: 33 Messe, 145 Graduali, 137 Antifone, 152 Offertori, 162 Salmi, 49 Inni, 20 Responsori, 162 Mottetti, 5 Sequenze, Lamentazioni, 5 Cantate, Madrigali a cinque voci, descritta in dettaglio da Feininger nel catalogo tematico del compositore, uscito tra il 1962 e il 1971.[20]

Nel 1952 il Coro del Concilio affronta anche lo studio di una Messa del maggiore compositore fiammingo del Quattrocento: Guillaume Du Fay. Si tratta di una incursione nel mondo dei codici musicali trentini del XV secolo, quel mondo che era stato il primo grande interesse musicologico di Feininger. Ma la complessa scrittura contrappuntistica della Messa di Du Fay (difficile soprattutto dal punto di vista ritmico, melodicamente assai meno ‘orecchiabile’ delle plastiche linee melodiche benevoliane e certamente destinata a singoli cantori professionisti), mal si conciliava con il grosso organico del coro e con l’inesperienza dei piccoli cantori trentini. Fu perciò presto abbandonata. È interessante notare come Feininger, che pure conosceva bene le opere di Dufay adatte ai pueri della schola, alcune delle quali esplicitamente scritte per un uso didattico (come, ad esempio, il Gloria ad modum tube, gli inni e le sequenze), abbia invece voluto cimentarsi con una partitura ardua come la Missa L’Homme armée, noncurante dell’impossibilità di giungere ad un buon risultato.

Dopo il Concilio Vaticano II la ricerca musicologica di Feininger cambia il suo oggetto principale: se per vent’anni (1948-1967) il suo interesse primario era stato rivolto alla policoralità e all’esperienza del coro, ora gli eventi richiedevano di correre ai ripari e di cercare di salvare quanto rimaneva dei libri liturgici in latino, che tramandavano quella bellezza che era stata la causa principale della sua conversione al cattolicesimo, e che ora erano buttati o venduti ad antiquari senza scrupoli.

Già nella prefazione al Catalogo tematico dell’opera di Cannicciari del 1964 Feininger aveva pubblicato un appassionato appello a papa Paolo VI:

Jube Sancte Pater ut resurgat Ritus sollemnis ad summum illum splendorem quem jam saeculis praeteritis habuerat, jube ut resurgant Capellae musicales et Scholae cantorum ad majorem Dei gloriam, ut medelam ferres inde hostis unde laeserat.

Comandi, Santo Padre, che il rito solenne venga riportato a quell’altissimo splendore che aveva goduto nei secoli passati; comandi che le cappelle musicali e le scuole dei cantori vengano reinstaurate per la maggior gloria di Dio, sì che Voi possiate apportare guarigione là dove il Nemico ha inferto un’amara ferita.[21]

Nel 1969 Feininger pubblica il primo volume del Repertorium cantus plani,[22] ossia il catalogo dettagliato della sua nuova collezione di manoscritti liturgici con musica (il contenuto di 24 Antifonari è descritto pezzo per pezzo), che reca l’amara dedica non ad una persona, ma temporibus futuris melioribus (a tempi migliori del futuro). Nella breve prefazione in latino del Repertorium è condensato il pensiero sulle cause che hanno portato al deperimento e all’abbandono un repertorio librario un tempo splendido e opulentissimo, magnificamente decorato e gelosamente custodito.

Tre sono le cause che Feininger indica: 1) il monopolio dei monaci di Solesmes nello studio del gregoriano, studio basato esclusivamente sui manoscritti più antichi e che ha trascurato tutta la storia e le trasformazioni del canto cristiano liturgico dal XIV secolo in poi; 2) “l’abolizione e la distruzione dell’intera liturgia latina, sia Romana sia Ambrosiana, non certo decretata dal Concilio Vaticano II, ma arbitrariamente perpetrata da iconoclasti cercatori di novità, completamente inadatti al compito di riforma, che deridono e scherniscono tutti i decreti di quel Concilio e quelli emessi dall’autorità papale”; 3) “l’ignoranza e la negligenza di Monasteri e di Capitoli, che, per secoli, hanno avuto il compito di custodire un patrimonio sacro così grande, e che ora consentono all’acqua, ai vermi e ai topi il lavoro di distruzione, e che infine, per un vergognoso profitto, lo cedono a venditori, i quali, guidati dall’avidità e dall’ignoranza, ritagliano questi manoscritti, ne strappano le miniature, e gettano via il resto”. Uno stato di cose che a Feininger stringeva il cuore, mentre continuava a dire Messa in latino, del tutto isolato dalla curia trentina.

Oggi, dopo il Motu proprioSummorum Pontificum” di Benedetto XVI del 7 luglio 2007, Feininger potrebbe celebrare Messa secondo il rito di Pio V, che amava profondamente, in piena comunione con Roma e con la gerarchia ecclesiastica. Che i tempi stiano cambiando in meglio?

 

APPENDICE 1

VOLUMI CITATI SULL’OPERA DI FEININGER E SULLA SUA BIBLIOTECA

Addamiano 2004 = Antonio Addamiano, Uno strumento per la conoscenza della musica sacra e delle sue fonti Quattro-Cinquecentesche, sulle orme di Laurence Feininger, in Gozzi 2004, pp. 23-32.

Adler 1903 = Orazio Benevoli, Festmesse und Hymnus zur Einweihung des Domes in Salzburg 1628 mit 53 Stimmen (16 Vocal- und 34 Instrumentalstimmen) nebst zwei Orgeln und Basso continuo, Wien, Artaria & Co., 1903 (Denkmäler der Tonkunst in Österreich; Jg. 10, Tl. 1). Ristampa anastatica Graz, Akademische Druck, 1959.

Borrelli 1983 = Luciano Borrelli, Gli incunaboli della biblioteca musicale di Laurence K. J. Feininger, in Biblioteche e archivi, Trento, Provincia Autonoma di Trento, Assessorato alle attività culturali, 1983, pp. 179-191

Calliari 1985 = Giuseppe Calliari, Laurence Feininger: vita e opera, in Curti – Leonardelli 1985, pp. 175-179.

Codici musicali trentini 1986 = I codici musicali trentini a cento anni dalla loro riscoperta: atti del convegno “Laurence Feininger, la musicologia come missione”, Trento, Castello del Buonconsiglio, 6-78 settembre 1985, a cura di Nino Pirrotta e Danilo Curti, Trento, Provincia Autonoma di Trento, Servizio Beni culturali, 1986.

Curti – Leonardelli 1985 = Danilo Curti – Fabrizio Leonardelli, La Biblioteca musicale Laurence K.J. Feininger: Trento, Castello del Buonconsiglio, 6 settembre – 25 ottobre 1985: catalogo, Trento, Provincia Autonoma di Trento, Servizio Beni culturali, 1985

Curti 1983 = Danilo Curti, La biblioteca musicale di Laurence Feininger, in Biblioteche e archivi: Trento, Castello del Buonconsiglio, luglio-dicembre 1983, Trento, Provincia Autonoma di Trento, Assessorato alle attività culturali, 1983, pp. 154-178.

Curti 1989 = Danilo Curti, Laurence Feininger musicologo ed editore, in Lunelli 1989, pp. 7-15.

Curti 1997 = Danilo Curti, Laurence Feiniger: le edizioni e gli studi sulla scuola policorale romana, in Scuola policorale 1997, pp. 21-28.

Curti 2000 = Danilo Curti, Laurence Feininger e la sua collezione, in Jubilate Deo: miniature e melodie gregoriane, testimonianze della Biblioteca L. Feininger, a cura di Giacomo Baroffio, Danilo Curti e Marco Gozzi, Trento, Provincia autonoma di Trento, 2000, pp. 97-116.

Curti 2004 = Danilo Curti, La valorizzazione della Biblioteca Feininger, in: Gozzi 2004, pp. 15-16.

De Salvo 2006 = Salvatore De Salvo Fattor, “Missa Salisburgensis”: cronistoria della paternità, in Policoralità in Europa 2006, pp. 159-172.

Fallows 1982 = David Fallows, Dufay, London, Dent, 1982.

Fallows 1986 = David Fallows, Dufay and the Mass proper cycles of Trent 88, in Codici musicali trentini 1986, pp. 46-59.

Feininger 1937 = Laurence Feininger, Die Frühgeschichte des Kanons bis Josquin des Prez (um 1500), Emsdetten, Anstalt & Lechte, 1937.

Feininger 1952 = Laurence Feininger, Orazio Benevoli, in Atti del Congresso internazionale di musica sacra organizzato dal Pontificio Istituto di Musica Sacra e dalla Commissione di Musica Sacra per l’Anno Santo (Roma, 25-30 maggio 1950), a cura di Igino Angles, Tournai, Desclée, 1952.

Feininger 1956 = Laurence Feininger, La scuola policorale romana del Sei e Settecento in «Collectanea historiae musicae», II (1956), pp. 193-202.

Feininger 1962-1971 = Laurence Feininger, Catalogus thematicus et bibliographicus Joannis de Georgis operum sacrarum omnium, 3 voll. Trento, Societas Universalis Sanctae Ceciliae, 1962, 1965, 1971 (Repertorium Liturgiae Polychoralis, voll. I, suppl. I, III).

Feininger 1963 = Laurence Feininger, Benevoli Orazio, in: Enciclopedia della musica, a cura di Claudio Sartori, vol. I, Milano, Ricordi, 1963.

Feininger 1964 = Laurence Feininger, Catalogus thematicus et bibliographicus Pompei Cannicciarii operum sacrarum omnium, Trento, Societas Universalis Sanctae Ceciliae, 1964 (Repertorium Liturgiae Polychoralis, vol. II).

Feininger 1969 = Laurence Feininger, Horatii Benevoli Missa Salisburgensis 1628, Salzburg – Muenchen, Pustet, 1969.

Feininger 1969-1975 = Laurence Feininger, Repertorium cantus plani, 3 voll., Trento, Societas Universalis Sanctae Ceciliae, 1969, 1971, 1975.

Feininger Lux 1937 = T. Lux Feininger, Per una storia del “Coro del Concilio”, in Codici musicali trentini 1986, pp. 22-37.

Gozzi 1994 = Marco Gozzi, Le fonti liturgiche a stampa della Biblioteca musicale L. Feininger presso il Castello del Buonconsiglio, 2 voll., Trento, Provincia Autonoma di Trento, Servizio Beni culturali – Servizio Beni librari e archivistici, 1994.

Gozzi 1997 = Marco Gozzi, Un contributo inedito di Laurence Feininger: La scuola policorale romana, un tesoro trascurato di musica barocca, in: Scuola policorale 1997, pp. 29-40.

Gozzi 2004 = Manoscritti di polifonia nel Quattrocento europeo. Atti del Convegno internazionale di studi, Trento – Castello del Buonconsiglio, 18-19 ottobre 2002, a cura di Marco Gozzi, Trento, Provincia autonoma di Trento – Soprintendenza per i Beni librari e archivistici, 2004.

Gozzi 2004a = Marco Gozzi, Progetti legati al lascito Feininger, in: Gozzi 2004, pp. 17-22.

Jubilate Deo 2000 = Jubilate Deo: miniature e melodie gregoriane, testimonianze della Biblioteca L. Feininger, a cura di Giacomo Baroffio, Danilo Curti e Marco Gozzi, Trento, Provincia autonoma di Trento, 2000

Lunelli 1989 = Clemente Lunelli, Societas universalis sanctae Ceciliae (1947-1975), diretta da Laurence Feininger: catalogo delle edizioni musicali, Trento, Provincia Autonoma di Trento, Servizio Beni culturali, 1989

Lunelli 1994 = Clemente Lunelli, I manoscritti polifonici della Biblioteca Musicale L. Feininger presso il Castello del Buonconsiglio di Trento, Trento, Provincia Autonoma di Trento – Servizio Beni librari e archivistici, 1994 (Patrimonio storico e artistico del Trentino, 16).

Musica e Liturgia 1995 = Musica e Liturgia nella Riforma tridentina. Trento, Castello del Buonconsiglio 23 settembre – 26 novembre 1995, a cura di Marco Gozzi e Danilo Curti, Trento, Provincia Autonoma di Trento – Servizio Beni librari e archivistici, 1995.

Pirrotta 1986 = Nino Pirrotta, Laurence Feininger: la musicologia come missione, in: Codici musicali trentini 1986, pp. 12-15.

Policoralità in Europa 2006 = La policoralità in Europa al tempo di Paris Lodron. Missa Salisburgensis: Biber contra Benevoli. Atti del Convegno internazionale di studi “Paris Lodron e la musica del suo tempo”, Rovereto – Sala conferenze Mart, 14 dicembre 2003, a cura di Antonio Carlini, Danilo Curti-Feininger, Siegfried Gmeinwieser, Trento, Provincia autonoma di Trento – Soprintendenza per i Beni librari e archivistici, 2006.

Ruini 1998-2002 = Cesarino Ruini, I manoscritti liturgici della Biblioteca L. Feininger, presso il Castello del Buonconsiglio di Trento, 2 voll., Trento, Provincia Autonoma di Trento – Servizio Beni librari e archivistici, 1998-2002 (Patrimonio storico e artistico del Trentino, 21 e 25).

Scuola policorale 1997 = La scuola policorale romana del Sei-Settecento. Atti del Convegno Internazionale di studi in memoria di Laurence Feininger (Trento, Castello del Buonconsiglio, 4-5 ottobre 1996), a cura di Francesco Luisi, Danilo Curti e Marco Gozzi, Trento, Provincia autonoma di Trento – Servizio Beni librari e archivistici, 1997.

Strohm 1983 = Reinhard Strohm, Quellenkritische Untersuchungen an der Missa „Caput“, in Quellenstudien zur Musik der Renaissance vol. 2: Datierung und Filiation von Musikhandschriften der Josquin-Zeit, herausgegeben von Ludwig Finscher, Wiesbaden, Harrassowitz, 1983, pp. 153-176.

Wright 1996 = Peter Wright (a cura di), I codici musicali trentini: nuove scoperte e nuovi orientamenti della ricerca: atti del convegno internazionale Trento, Castello del Buonconsiglio, 24 settembre 1994, Trento, Provincia Autonoma di Trento – Servizio Beni librari e archivistici, 1996.

 

APPENDICE 2

REPERTORIO DEL CORO, CON LE DATE DEL PRIMO STUDIO

Orazio Benevoli, Missa Tu es Petrus a 16 voci (1949-1950)

Orazio Benevoli, Missa Benevola (o Maria prodigio celeste) a 16 voci (1950)

Orazio Benevoli, Salmo Dixit Dominus a 24 voci (1950)

Orazio Benevoli, Salmo Dixit Dominus a 16 voci (1951)

Orazio Benevoli, Salmo Laudate Pueri a 16 voci (1951)

Orazio Benevoli, Missa Pastoralis a 8 voci (1951)

Orazio Benevoli, Missa Tiracorda a 16 voci (1951-52)

Orazio Benevoli, Magnificat sexti toni a 8 voci (1952)

Orazio Benevoli, Salmo Dixit Dominus a 8 voci (1952)

Guillaume Dufay, Missa L’Homme armée (1952)

Orazio Benevoli, Magnificat octavi toni a 8 voci (1952)

Orazio Benevoli, Missa In diluvium aquarum a 16 voci (1953)

Giuseppe Ottavio Pitoni, Offertorio Beata es Virgo Maria a 8 voci (1953-54?)

Giuseppe Ottavio Pitoni, Justorum animae a 8 voci (1953-54?)

Orazio Benevoli, Missa Si Deus pro nobis a 16 voci (1954-55)

Orazio Benevoli, Magnificat secundi toni a 14 voci (1956)

Giuseppe Ottavio Pitoni, Misericordia Domini a 4 voci (1958)

Giovanni Giorgi, Missa in mi minore a 4 voci (1960?)

Giovanni Giorgi, Missa del 1758 a 4 voci (1960?)

Giovanni Giorgi, Antifona In Ascensione Domini [Videntibus illis?] a 4 voci (1960?)

Giovanni Giorgi, Assumpta es Maria a 8 voci (1960?)

Giovanni Giorgi, Mottetto della SS.ma Trinità [Ex quo omnia?] a 4 voci (1960?)

Giovanni Giorgi, Confirma hoc a 4 voci (1960?)

Giovanni Giorgi, Haec dies a 8 voci (1960)

Giovanni Giorgi, Commovisti Domine a 4 voci (1960)

Pompeo Cannicciari, Christus factus est a 4 voci (1960)

Giovanni Giorgi, Portas caeli a 4 voci (1963)

Orazio Benevoli, Missa In Angustia a 16 voci (1963)

Orazio Benevoli, Salmo Confitebor a 16 voci (1964)

Giovanni Giorgi, Terra tremuit a 8 voci (1964)

Giovanni Giorgi, Missa del 1723 a 8 voci (1964)

Vincenzo Tozzi, Missa a 8 voci (1964)

Orazio Benevoli, Missa Victoria a 16 voci (1967)

Orazio Benevoli?, Missa Bruxellensis a 23 voci (1969-70)

 

Datazione incerta:

Guillaume Dufay, Missa De SS. Trinitate (probabilmente mai eseguita)

Pierre De La Rue, Missa Ave Sanctissima (probabilmente mai eseguita)

Orazio Benevoli, Missa Angelus Domini a 12 voci

Giuseppe Ottavio Pitoni, Missa Albana a 16 voci

Orazio Benevoli, Magnificat tertii toni a 16 voci

Orazio Benevoli, Magnificat septimi toni a 8 voci

Orazio Benevoli, Salmo Dixit Dominus a 12 voci

Orazio Benevoli, Salmo Credidi a 12 voci concertato

Giovanni Giorgi?, Responsoria del S. Natale a 8 voci

Ignoto, Crucifixus a 8 voci

 

NOTE

[1] Così recita il titolo del convegno internazionale svoltosi a Trento in onore di Feininger e il contributo di Nino Pirrotta che lo presiedeva; cfr. Pirrotta 1986 (le sigle delle note fanno riferimento alla Bibliografia nell’Appendice 1, alla fine del presente saggio).

[2] Cfr. Curti 2000, p. 100.

[3] Cfr. Fallows 1986.

[4] Per il problema si veda Fallows 1982, p. 300 e Strohm1983.

[5] Solo recentemente, e sempre sulla scia delle intuizioni di Feininger, si sono svolti a Trento e a Rovereto due convegni internazionali sull’argomento: Scuola policorale 1997 e Policoralità in Europa 2006.

[6] Cfr. Addamiano 2004.

[7] Per una descrizione della consistenza e dell’importanza della Biblioteca Feininger si vedano almeno: Feininger 1969-1975; Curti 1983; Borrelli 1983; Curti – Leonardelli 1985; Codici musicali trentini 1986; Lunelli 1989; Curti 1989; Gozzi 1994; Lunelli 1994; Musica e Liturgia 1995; Curti 1997; Ruini 1998-2002; Wright 1996; Jubilate Deo 2000; Curti 2004; Gozzi 2004a.

[8] Un elenco sintetico della produzione editoriale di Feininger è pubblicato da Calliari 1985, pp. 178-179.

[9] Un elenco completo delle edizioni della Societas si trova in: Lunelli 1989.

[10] Feininger 1937.

[11] Cfr. Feininger Lux 1937, p. 23.

[12] Lettera alla famiglia del 20 novembre 1949 citata in Feininger Lux 1937, p. 24.

[13] Curti 1997, p. 24.

[14] Cfr. Gozzi 1997, p. 40.

[15] Cfr. Curti 1997, pp. 25-27.

[16] Cfr. Feininger 1952, Feininger 1956, Feininger 1963, Gozzi 1997.

[17] Salzburg, Museum Carolino Augusteum, Ms. 751. La trascrizione in Adler 1903.

[18] La vicenda della paternità della Missa Salisburgensis è ampiamente trattata in Policoralità in Europa 2006 e in particolare in De Salvo 2006.

[19] Cfr. Policoralità in Europa 2006, pp. 14 e 163.

[20] Feininger 1962-1971.

[21] Feininger 1964, p. III.

[22] Feininger 1969-1975. L’intera collezione di manoscritti di Feininger ha ora una nuova catalogazione scientifica di prim’ordine in Ruini 1998-2002.