Edward E. Lowinsky

Laurence Feininger (1909-1976) – La vita, l’opera, l’eredità spirituale*

di Edward E. Lowinsky

 

Laurence Feininger, scomparso in un incidente d’auto a Campo di Trens (Vipiteno) il 7 gennaio 1976, fu una figura isolata ed unica nel mondo della musicologia. Nessuno della sua generazione ha lasciato un corpus più vasto di edizioni di musica dei secoli XV e XVII, tutte basate sulle fonti manoscritte originali, molte delle quali riscoperte da lui stesso. Nessuno si adoperò più intensamente perché fossero pubblicate – ed eseguite, specialmente quelle del secolo XVII. Nessuno prese più seriamente in considerazione la loro funzione originale. La musica che egli studiò e pubblicò era stata composta per la liturgia della Chiesa Cattolica di Roma; per tutta la vita egli sperò di restituire alla musica e alla liturgia cattoliche il loro antico splendore.

Pure, il suo senso di indipendenza e la sua passione per il suo lavoro erano così profondi che egli si tenne in disparte da qualsiasi associazione con la musicologia in generale o con la Chiesa in particolare. Certamente era un solitario; soltanto sporadicamente si associò a società musicologiche nazionali o internazionali; raramente partecipò ai loro incontri e congressi. Per un certo tempo lavorò alla Biblioteca Vaticana, della quale conosceva i manoscritti meglio di chiunque altro, inizialmente senza alcun compenso, poi per una modesta retribuzione. Lavorò per un breve periodo al Pontificio Istituto di Musica Sacra a Roma. Ma quando queste associazioni minacciarono di diventare troppo condizionanti, si trasferì da Roma a Trento per recuperare quella libertà che era fondamentale per il suo modo di vita e di lavoro.

Aveva un enorme forza di volontà, il vigore e la resistenza di un atleta. Si prefisse obbiettivi il cui raggiungimento avrebbe richiesto normalmente l’impegno di un’intera generazione di studiosi. Molto prima che il Répertoire International des Sources Musicales (RISM) divenisse una realtà egli non solo aveva parlato della necessità di catalogare l’intero patrimonio musicale della Chiesa, ma aveva iniziato da solo questa impresa, lavorando contemporaneamente all’organizzazione di un completo archivio fotografico. La sua giornata doveva durare abbastanza da dargli il tempo per la continua trascrizione dei manoscritti. Il corpus delle sue trascrizioni musicali, che supera forse quello delle sue pubblicazioni, è così vasto che sarà necessario molto tempo per esaminarle, catalogarle e pubblicarle tutte.

Laurence Feininger era nato a Berlino, figlio del pittore americano Lyonel Feininger, che era stato un membro della Bauhaus. Inizialmente Lyonel era stato mandato in Germania dal padre, Karl Feininger, musicista e scrittore di cose musicali, per studiare musica e in particolare il violino. Rimase in Germania, si dedicò invece alla pittura, e tuttavia mantenne sempre vivo attraverso gli anni l’interesse per la musica. Laurence rivelò ottime disposizioni musicali e ricevette un insegnamento completo sia per il pianoforte sia per la teoria da Hans Brönner a Weimar. (Alcuni anni più tardi Laurence pubblicò le composizioni di Brönner come atto di omaggio al suo vecchio maestro). Continuò i suoi studi musicali nella famosa scuola progressista di Wickersdorf, la «Freie Schulgemeinde», dalla quale si licenziò nel 1928. Studiò quindi organo con Paul Hopf ad Eisenach e pensò di diventare un organista. Nel 1932 andò a Heidelberg per studiare musicologia con Heinrich Besseler. È qui che ci incontrammo. Nel 1935 ricevette il suo dottorato con una dissertazione su Die Frühgeschichte des Kanons bis Josquin des Prez, pubblicata ad Emsdetten nel 1937.

La dissertazione di Feininger era in vari modi tipica della strada che egli avrebbe seguita più tardi, del suo campo di interesse e del suo stile. Veramente concisa, contiene appena qualche nota a piè di pagina; è basata quasi interamente sullo studio delle fonti originali, e tratta del genere più rigoroso di pensiero contrappuntistico, il canone, dallo Stimmtauschkanon primitivo del secolo XII alle più complesse forme di struttura canonica nelle opere dei maestri fiamminghi del secolo XV, inclusi Ockegehem, La Rue, Isaac e Josquin. La sua classificazione delle varie forme di canone nella musica del secolo XV è ineguagliata. La sua appendice di composizioni in canone da Ockegehem a Josquin è tuttora di fondamentale utilità.

Nel 1937 Feininger andò per la prima volta in Italia, il paese più ricco di fonti della musica della Chiesa Cattolica. Vi ritornò nel 1938 e si stabilì a Trento, dove sono custoditi i sette Codici Trentini, la monumentale raccolta di musica del secolo XV1. Nel 1939 scoppiò la guerra. Internato quale cittadino di paese straniero e nemico – era cittadino americano – egli fu trattenuto in tale condizione dal marzo del 1943 al febbraio del 1944. Nell’autunno del 1945 iniziò gli studi teologici, svolti principalmente e completati al Collegio Capranica a Roma. Nel 1946 fu ordinato sacerdote: era stato battezzato nel 1934 nel monastero benedettino di Stift Neuburg, vicino Heildelberg.

Cominciarono allora a prendere forma i suoi grandiosi piani di pubblicare il patrimonio musicale tradizionale della Chiesa Cattolica, traendolo direttamente dalle fonti originali. Per tutta la vita Feininger fu così preso dal suo dialogo con le fonti originali, così tutto preso dalla sua corsa contro il rapido deterioramento dei manoscritti musicali in Italia2, che gli rimaneva poco tempo e poca voglia per restare in contatto con i due grandi centri di musicologia, la Germania e gli Stati Uniti. Lavorando febbrilmente, in uno splendido isolamento, imbevuto di un coraggio indomabile e di una fede apparentemente indistruttibile, fu egli stesso quasi un terzo centro di musicologia. Poté così avvenire che trascurasse fonti non italiane, o addirittura non romane, della musica che studiava3.

Quando nel 1947, su sua sollecitazione, decisi di passare l’anno in Italia come borsista “Guggenheim”, ebbi la possibilità di dare un primo sguardo al gigantesco repertorio di cataloghi tematici e di trascrizioni dei manoscritti della Cappella Sistina che egli aveva già allora completato. In modo particolare ricordo un grosso manoscritto rilegato delle sue trascrizioni di quei manoscritti, vergato con una grafia così minuta – benché con incredibile precisione – che era quasi necessario usare una lente d’ingrandimento per leggerla (foto in basso). Mi disse – e lo confermò in una lettera del 13 ottobre 1953 ai suoi genitori – che Higino Anglés, il quale nel 1947 era stato chiamato da Barcellona a Roma in qualità di Direttore del Pontificio Istituto di Musica Sacra, lo aveva convinto a depositare quel prezioso volume presso lo stesso Istituto; «ma è sottinteso che rimane di mia proprietà ed a mia completa disposizione».

Anglés, riconoscendo la straordinaria dedizione di Feininger e le sue indubbie doti di studioso, non perse tempo a cercare di coinvolgerlo nel lavoro del Pontificio Istituto. Feininger aveva appena avuto e rifiutata una borsa di studio Guggenheim ed aveva costantemente bisogno di fondi per i suoi grandi progetti; e quindi accettò. Con il suo primo stipendio, nel marzo del 1948, ritornò a Trento per completare il suo catalogo dei Codici Trentini, nel quale corresse una miriade d’errori presenti nel catalogo pubblicato da Guido Adler e dai suoi collaboratori nei Denkmäler der Tonkunst in Österreich. Da Trento andò a Verona, Milano, Modena, cercando ovunque di valutare il danno apportato dalla guerra allo stato dei manoscritti musicali nei grandi archivi e biblioteche di queste località, ordinando microfilm dovunque poteva, finché il denaro gli bastava – qualche volte anche oltre.

Nel 1947, Feininger diffuse un prospetto dei Monumenta Polyphoniae Liturgicae Sanctae Ecclesiae Romanae, da pubblicare da parte della Societas Universalis Sanctae Ceciliae. La Società (fondata «nel settembre 1946 sotto la presidenza del fu Mons. Carlo Respighi, allora Prefetto delle Cerimonie Pontificie, in collaborazione col Rev. D. Laurence Feininger, capo del Settore della Musica della Biblioteca Vaticana, ed altri»), fu opera, per quanto io sappia, di un solo uomo, che la creò, la sostenne, e da solo realizzò l’immane lavoro di curare l’edizione della musica e seguirla attraverso il processo di stampa: Laurence Feininger.

Seguendo l’orientamento liturgico, le edizioni dovevano essere divise in:

I:   Ordinarium Missae (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei)
II:  Proprium Missae (Introitus, Graduale, Alleluia, Offertorium, Communio)
III: Divinum Officium (Hymni, Magnificat, Psalmi, Antiphonae)
IV: Motecta (musica sacra non strettamente liturgica).

Erano previsti due tipi di edizioni, «scientifica» e «pratica», i cui principi erano chiaramente stabiliti. Le edizioni «scientifiche», i Monumenta, erano pubblicate nelle chiavi originali, persino le più insolite. Feininger manteneva i valori di tempo e i simboli metrici originali, comprese certe caratteristiche della notazione del secolo XV quali la colorazione e il punctus divisionis; collocava il testo esattamente dove lo trovava nel manoscritto – e si sa bene quanto sia difficile cantare la musica avendo davanti l’erratica distribuzione originale del testo – e si asteneva dall’aggiungere accidenti editoriali. Questi procedimenti rendono le edizioni di Feininger difficili da usare nello studio ed ancor più nell’esecuzione. La sua abitudine di scrivere le prefazioni e l’apparato critico in latino non accresce la loro accessibilità. Come i misteri della Chiesa, le edizioni di Feininger si aprono soltanto a coloro che intensamente desiderano ricercare e faticare. Decisamente non appartengono alla tendenza più diffusa della moderna tecnica editoriale4.

Nessun sistema è mai perfettamente coerente. Mentre conservava le antiche chiavi, Feininger evitava di segnare il cambio di chiavi all’interno di una singola composizione «per conservare l’unità visiva della linea musicale ed evitare confusione». Mentre si sforzava di essere il più possibile fedele alle fonti originali, eliminava poi in silenzio evidenti errori del copista. (La pubblicazione di un apparato critico «per interi gruppi di volumi», anticipata nel Prospetto, non fu mai attuata. Speciali osservazioni critiche erano invece poste in nota). Mentre perorava per la massima fedeltà alle fonti originali, pubblicava opere anonime attribuendole a grandi maestri, soprattutto sulla base del suo personale senso dello stile; altre volte pubblicò vari movimenti di una Messa, che erano basati su uno stesso cantus firmus ma apparivano in manoscritti diversi, come se formassero un tutto unico (la Missa de Angelis di Binchois, Documenta, Serie I, No. 5, è uno di questi casi). La sua vivida immaginazione musicale, sempre acuta, si scontra a volte con le esigenze rigorose dello studioso.

Considerando l’austerità dello stile editoriale di Feininger, ci si può chiedere di quale utilità possano essere oggi le sue edizioni. Va detto innanzitutto che esse offrono una gran quantità di musica importante che non è in alcun modo accessibile altrove. In assenza di edizioni in facsimile, esse danno un’idea abbastanza precisa della versione originale manoscritta, particolarmente utile in questioni di interpretazione metrica e collocazione del testo sotto le note. Soprattutto – e questo non potrà mai essere abbastanza fortemente sottolineato – le edizioni di Feininger sono tra le più diligentemente accurate che siano mai state pubblicate5.Può bastare un piccolo esempio: la Missa Caput di Dufay è accessibile in tre edizioni recenti (oltre la versione più antica datane nei Denkmäler der Tonkunst in Österreich, vol. 58; 1912); di queste quella di Feininger è la prima e rimane a tutt’oggi la più accurata; eppure è raro che essa sia appena menzionata. Quando recentemente l’autenticità della Messa divenne un argomento di dibattito e la sua edizione nell’Opera Omnia fu severamente criticata, non fu fatto alcun riferimento all’edizione critica di Feininger che anni prima ne aveva dato delle letture eccellenti6. (Lo stesso si applica all’edizione fornita a sua volta dal critico)7.

Le edizioni «scientifiche» sono materiale ideale per lo studente di musicologia; sono adatte per seminari che riguardino tecniche e metodi di ricerca musicologica e, naturalmente, per ogni lavoro che tratti i periodi storici in questione. Le edizioni pratiche, intitolate Documenta Polyphoniae Liturgicae Sanctae Ecclesiae Romanae, hanno una organizzazione completamente diversa. Alieno da compromessi nelle edizioni «scientifiche», Feininger dimostrò qui la più auspicabile duttilità. I Documenta furono pubblicati con chiavi moderne, con i valori di tempo ridotti a un quarto rispetto all’originale, le legature omesse, il testo posto al completo sotto le note, tutti gli accidenti indicati – senza distinguere però tra la musica ficta originale e quella editoriale, un procedimento che rimase un punto di dibattito tra noi (così come l’uso delle vecchie chiavi). Vedremo più tardi che Feininger cambiò idea su ogni singolo aspetto della politica editoriale che governava questa serie.

I Documenta contengono una composizione in ciascun fascicolo, con una breve prefazione scritta in italiano, e a volte anche con una traduzione inglese. Già la sola scelta delle composizioni rivela la grande conoscenza che Feininger aveva delle fonti e il suo giudizio da conoscitore delle composizioni di particolare valore e interesse. Esse rivelano anche la sua particolare abilità nel penetrare i segreti più esoterici dei canoni. Basti, ancora una volta, un esempio. Egli pubblicò la Messa a tre voci di Standley, un compositore inglese poco noto. La Messa, dal codice Trento 88, è notata per due sole voci; la parte della seconda voce porta la scritta «Tenor/Contratenor», l’una parola sopra l’altra, ed inoltre un segno per l’entrata di una terza parte. Feininger cercò di costruire una terza parte in canone; ma dopo poche battute il canone si arenava. Provando e riprovando, scoprì che una perfetta combinazione di tre parti risultava se la terza voce del canone ometteva sistematicamente tutte le note al di sotto del si e tutte le pause sotto la terza linea del rigo. Così, quando trovò nel codice Trento 89 un Mottetto anonimo, Quae est ista, che usa la stessa eccentrica tecnica del canone e mostra altre somiglianze stilistiche, gli fu facile attribuire la composizione a Standley – una attribuzione che è stata accettata anche da altri studiosi8.

Feininger ha dato un contributo importante alla storia e alla letteratura della Messa polifonica pubblicando in questa serie un certo numero di Messe del secolo XV precedentemente non accessibili; tra esse la Missa de Angelis di Gilles Binchois9 e la Missa super Alma Redemptoris Mater di Leonel Power, la seconda delle quali diede origine alla ammirevole analisi della tecnica e della posizione storica della composizione fatta da Oliver Strunk nella sua recensione dei primi due fascicoli dei Documenta10.

Feininger aveva una qualità che, per quanto sia essenziale per un musicologo, è tuttavia rara: era in primo luogo un musicista, poi un musicologo. L’alto livello qualitativo della scelta di composizioni che egli pubblicò è dovuto al suo senso musicale. Tra i tesori che fece conoscere non c’è una sola composizione che sia priva di merito artistico. Era magneticamente attratto dalle più grandi menti musicali: Dunstable, Dufay, Binchois, Ockegehem nel secolo XV, e nel XVII soprattutto Orazio Benevoli, il grande maestro romano della musica policorale. Alludevamo prima al senso dello stile di Feininger. Quando pubblicò Messe di Dufay, composizioni sia dell’Ordinario che del Proprio, egli attribuì al maestro di Cambrai un certo numero di opere anonime11. Non scrisse mai la promessa monografia nella quale avrebbe dato tutte le ragioni delle sue attribuzioni, ma offrì qualche barlume del suo ragionamento in una concisa prefazione12. Recentemente è stato scoperto un documento che tende a confermare una delle attribuzioni di Feininger. Craig Wright, in un suo studio su fonti d’archivio, ha pubblicato un resoconto dell’anno 1473-’74:

Parimenti, a sire Simon Mellet, grand vicaire, per aver scritto e annotato nei nuovi libri una Messa su Ave regina celorum ed una prosa Ave Maria, e inoltre un nuovo Sanctus e il Tractus Desiderium, furono pagati per le dette parti in una dichiarazione firmata da G. du Fay, liij sous, iiij deniers13.

A questo documento Wright aggiunge le seguenti osservazioni:

… poiché l’autorizzazione a copiare la Missa Ave regina celorum venne da Dufay in persona, sembrerebbero esserci pochi dubbi che la Messa in questione sia sua. Secondo, la composizione a tre voci14 del Tractus Desiderium – che compare anonima in un manoscritto di Trento (Castello del Buonconsiglio, codice 88, ff 157v – 159), ma che Laurence Feininger ha congetturato che sia stato composto da Dufay – è probabile che sia del maestro, in quanto tale pezzo faceva parte evidentemente del repertorio di Cambrai e fu copiato per ordine di Dufay15.

Benché non tutte le attribuzioni di Feininger possano reggere ad un attento riesame, esse hanno stimolato e continueranno a stimolare l’esplorazione stilistica dell’opera di Dufay e di quella dei suoi contemporanei.

A Roma, dove imparai ad ammirare la singolare dedizione di Feininger al suo lavoro, potei anche osservare quanto egli fosse privo di senso pratico. Aveva preparato due magnifiche nuove serie di musica del secolo XV, ma non c’era nessuno che le vendesse. Ne scrissi lungamente a Gustave Reese, mandandogli un prospetto ed un resoconto sulla personalità e il lavoro del curatore. Il Professor Reese era allora direttore delle pubblicazioni della Carl Fischer Inc. di New York, che dopo qualche tempo divenne l’agente delle edizioni di Feininger nell’emisfero occidentale.

Qualunque successo abbia avuto il lavoro di Feininger, fu dovuto a Gustave Reese e alla Carl Fischer Inc.

In tutto questo non bisogna dimenticare il ruolo di Julia Feininger, la madre di Laurence. Come era stata indispensabile per suo marito, ella svolse la funzione di «agente non pagato» anche per Laurence. A detta di Lux Feininger, «fece lei da moderatrice, scacciaguai, impresario ed amministratrice, tutto in uno». Sorvegliò anche lo stile inglese delle sue prefazioni che non erano scritte in latino o in italiano. Né potremmo trascurare il ruolo che i genitori di Laurence ebbero nel mantenere a galla la barca con un flusso costante di assegni. Il caldo affettuoso rapporto tra Laurence ed i suoi genitori fu il pilastro di sostegno senza il quale il suo lavoro non sarebbe stato portato avanti.

Padre Feininger riconosceva che non bastava pubblicare la grande musica liturgica del passato. Il mondo aveva bisogno di ascoltare la musica che egli così disperatamente cercava di salvare, curare e pubblicare. Nel novembre del 1949 lasciò Roma per stabilirsi permanentemente a Trento, che divenne la sua dimora fino alla morte. Lì fondò il Coro del Concilio. Trento fu più che una dimora per Feininger; fu un simbolo imponente per la riforma della musica di chiesa nello spirito della Controriforma, per la purificazione della musica religiosa dall’influenza secolare, per una nuova serietà del tenore liturgico della musica di chiesa, e naturalmente per una riforma della liturgia stessa. Più tardi Feininger avrebbe dedicato la sua magnifica pubblicazione dell’Opera Omnia di Orazio Benevoli ai Padri del Concilio di Trento.

Mai uno da far piani da poco, Feininger cominciò a lavorare per l’esecuzione, durante l’Anno Santo 1950, di una delle grandi Messe policorali di Orazio Benevoli, da lui recentemente scoperte in San Pietro a Roma. Era un compito difficile, con un coro di cantori non professionisti, e ci furono voci che cominciarono a levarsi contro il suo lavoro in Trento. Rispose pubblicando la Messa di Benevoli Si Deus pro nobis, quis contra nos?. Lyonel Feininger, scrivendo di suo figlio Laurence per il suo diciannovesimo compleanno, aveva detto: «egli… non si dà mai per vinto, ma va coraggiosamente fino in fondo»16. Non si potrebbe dire di lui niente di più vero. Nel 1950, l’Anno Santo, andò a Roma con il suo Coro del Concilio per un impensato trionfo in San Pietro. Secondo le sue stesse parole:

La chiesa era piena zeppa di gente, vi era rappresentato tutto il mondo. Solo al centro e dove era stato preparato il trono restava qualche spazio lasciato libero per far passare il seguito [papale]. Noi avevamo un largo spazio proprio affianco al trono, sotto il pilastro sul lato destro della cupola. Ad un certo momento si accesero tutte le luci, e «suoni e grida» annunciarono l’arrivo della corte. Arrivata alla Confessione, la sedia gestatoria fu posata a terra, e il Papa salì sul trono. Quindi cominciò a leggere, uno dopo l’altro, i nomi delle delegazioni presenti all’udienza, e ognuna rispondeva con una acclamazione ed era salutata dal Santo Padre con un cenno delle mani. Quando arrivò al nostro nome, i ragazzi risposero con un grido fortissimo, agitando le loro parti della musica proprio sotto i suoi piedi. Egli interruppe la sua lettura (per la prima ed unica volta) dicendo: Ho sentito che avete avuto un gran successo e sono felice per voi. [Il coro si era esibito in altre chiese per prepararsi a cantare in San Pietro]. Immaginate il loro entusiasmo! Quando egli ebbe finito la sua lista e il suo breve indirizzo nelle varie lingue, diede la benedizione e scese per l’udienza particolare dei visitatori privilegiati e più importanti, iniziando dalla parte opposta alla nostra.

Questo era il momento in cui dovevamo cominciare a cantare. Avevamo deciso di cantare il Gloria [della Messa Tu es Petrus], perché comincia con tutte le voci insieme, come il modo più sicuro per attirare l’attenzione e ottenere silenzio in mezzo a tanta folla. Fu un inizio perfetto, subito ci fu un silenzio quasi completo, che durò fino alla fine, interrotto soltanto di tempo in tempo dalle acclamazioni (molto contenute) dei rari gruppi, man mano che il Santo Padre avanzava. Quando ebbimo finito, ci fa un grande applauso per noi – fu un’esecuzione eccellente da principio alla fine, e l’acustica era buona. Pensate: proprio l’ambiente per il quale questa musica era stata scritta, e la prima volta, dopo quasi tre secoli che essa tornava a risuonare! Quando il Santo Padre venne dal nostro lato ci salutò cordialmente, e (parlando a me) si congratulò per i miei ragazzi e per tutto il coro, invitandoci a perseverare e (così fu interpretato dalla stampa) a tornare di nuovo. Era il massimo che avremmo potuto sognare, e non ci furono limiti al nostro entusiasmo, dai più piccoli ai più grandi… 17.

L’Anno Santo musicale ebbe anche il suo lato scientifico. Il Pontificio Istituto di Musica Sacra organizzò un Congresso Internazionale di Musica Sacra a Roma. Il 26 maggio 1950 Feininger lesse una relazione «Sulla necessità di catalogare tutto il patrimonio di musica sacra ancora esistente»18. Egli presentò le linee generali di uno dei giganteschi progetti, che egli aveva iniziato «da molti anni e che è già molto progredito, ma supera forze e vita di un uomo solo»19. Qui, per la prima volta nelle sue pubblicazioni, per quanto io sappia, rivelò un poco del profondo senso d’alienazione dalla scena contemporanea che è l’altro lato della sua profonda devozione alla musica della Chiesa Cattolica Romana del passato:

… è giusto e doveroso che Essa [la Chiesa] stessa si renda conto e faccia inventario dei suoi tesori di musica liturgica, atti più che mai ad attirare l’ammirazione dei non-credenti, e ad elevare alla vera devozione i fedeli, raddolcendo con la bellezza imparagonabile delle sue armonie un’umanità, la cui espressione musicale è straziante discordia e disordinata passione, o arido intellettualismo e blasfemo cinismo20.

L’importanza di questa relazione non sta tanto nel piano preciso e dettagliato del sistema di schede che egli aveva sviluppato, quanto nella sua immensa ed intima conoscenza delle fonti che lo rendeva capace di ammonire sui pericoli che avrebbero ostacolato il cammino di un catalogatore non avvisto. Egli descrive il bisogno di un catalogo tematico d’ogni singolo movimento d’ogni Messa, sulla base della diversa trasmissione delle Messe, dato che una fonte contiene più sezioni e movimenti di un’altra, o anche movimenti differenti da quelli di un’altra. Mette in guardia contro l’attribuzione prematura di un’opera ad un determinato compositore. Cita fra altri il caso della Missa L’homme armé di Carissimi per 12 voci, che si ripresenta sotto nomi roboanti (La Febea e La Cristiniana), in elaborazioni piuttosto scadenti dello stesso materiale tematico per sedici voci, ad opera di Nicola Stamigna e Francesco Berretta, in un caso con il Christe di una Messa di Benevoli. Sottolinea che «moltissimi dei “Bicinia” del Rhaw si rivelano, con testo liberamente inventato, come Pleni e Benedictus di Messe, o come parti secondarie d’altre composizioni (Magnificat, Mottetti)»21.

Nel 1947, quando Padre Feininger presentò il programma della Societas Universalis Sanctae Ceciliae, parlava soltanto del «corpus di musica polifonica per la chiesa esistente, fino a circa il 1550…». Questo programma da solo era un’impresa monumentale, tanto più che doveva essere svolto da un solo uomo. Ma nel 1948 egli aveva già pubblicato il già citato volume in folio contenente sedici composizioni del Proprio della Messa tratte dal codice Trento 88, dieci Messe su L’homme armé, ed i primi tre fascicoli dei Documenta.

Nonostante l’inizio così brillante, alcune delle più importanti imprese progettate nel 1947 non furono mai realizzate, fra di esse «la gran collezione degli Introiti dei Codici Trentini e di fonti ad essi apparentate», e soprattutto l’intero manoscritto 15 della Cappella Sistina, che aveva trovato «in un tale stato di deterioramento che il solo mezzo per salvarne il contenuto – in gran parte unico ed ora quasi illeggibile – è attraverso un’immediata e completa pubblicazione». Aveva programmato di pubblicarlo in tre volumi, uno contenente i Magnificat, un altro gli Inni, ed un terzo i Mottetti.

«Ambedue le serie avranno inizio nel 1948», aveva promesso. Se ci fu mai qualcuno che avesse il coraggio, la tenacia, e soprattutto, la preparazione e l’esperienza necessarie per decifrare e pubblicare questo manoscritto mezzo rovinato, questi fu l’infaticabile Feininger. Che cosa lo distolse da tali grandi imprese in un momento in cui aveva già eseguito, se non tutte, la maggior parte delle trascrizioni?

Nel 1946 aveva cominciato a catalogare i manoscritti musicali della Cappella Giulia. Lì scoprì le opere policorali della Scuola romana, fino allora completamente sconosciute: composizioni per due, tre, e soprattutto quattro cori, e inoltre composizioni più libere da tre a ventitré parti. Fu stupito dalla bellezza e dallo splendore della tecnica policorale, dalla maestria contrappuntistica ed armonica di queste composizioni – Messe, Salmi, Magnificat. Nessuna di queste opere era mai stata stampata, forse per l’eccessivo costo della stampa musicale di tante parti. La storia della musica ne risultava impoverita. Con il suo infallibile senso della qualità, egli riconobbe presto il genio eminente di Orazio Benevoli (1605-1672), nato – come gli piaceva puntualizzare – 80 anni dopo Palestrina e 80 anni prima di Bach, occupando così una posizione di importanza simbolica tra quei due maestri facenti epoca22.

Fu forse la scoperta di questo enorme repertorio di musica policorale che esercitò il suo fascino sonoro e lo distolse dalla lineare austerità della musica del secolo XV. Potrebbe anche essere stato mosso da considerazioni pratiche: se il suo scopo principale era di far rivivere la musica della liturgia cattolica romana, era probabilmente molto più facile conquistare i fedeli odierni con la brillante sonorità della musica policorale, nei moderni modi maggiore e minore del Barocco italiano, che con l’austerità lineare dei vecchi fiamminghi, concepita negli antichi modi ecclesiastici. Inoltre, il secolo XV era un campo abbondantemente coltivato, ma l’arte policorale del secolo XVII, in gran parte una sua scoperta, richiedeva un trascrittore che avesse una straordinaria quantità di tempo e perseveranza. Così si buttò in questo nuovo campo con tutto il vigore e l’entusiasmo propri della sua natura – fortunatamente, non senza occasionali ritorni all’antico.

Feininger mi aveva fermamente promesso che avrebbe pubblicato una edizione del codice quattrocentesco Napoli, Biblioteca Nazionale, VI. E. 40, contenente sei Messe anonime su L’homme armé, a patto che io potessi trovargli un passo su una Messa L’homme armé nella corrispondenza di Spataro conservata nel manoscritto vaticano Vat. lat. 5318, passo del quale egli aveva già fatto ricerca. Più tardi io trovai il passaggio; si rivelò senza particolare importanza nei riguardi del manoscritto, e nel 1957 Feininger cominciò a pubblicare le sei Messe, una dopo l’altra. Il manoscritto, parzialmente incompleto, costituisce il caso straordinario di un ciclo di sei Messe progettato come una singola coerente unità: le prime cinque Messe, scritte a quattro parti, sono costruite ciascuna su un frammento della melodia L’homme armé; l’ultima Messa fu composta a cinque voci sull’intera canzone. Le varie prescrizioni per la manipolazione canonica del cantus firmus sono date in forma allegorica in esametri latini che Feininger con il suo solito virtuosismo tradusse in forma di notazione. Egli pubblicò il codice napoletano per la Societas Universalis Sanctae Ceciliae senza il suo nome e senza una prefazione, tranne una lucida e concisa analisi in forma tabulare delle organizzazioni dei cantus firmus, accompagnata dalle originali prescrizioni in latino. Aveva in mente, così mi scrisse, di pubblicare uno studio separato del codice; non vi arrivò mai23.

Nel 1963, nel mezzo del suo lavoro sul codice di Napoli, pubblicò un altro volume di Messe del secolo XV di straordinaria importanza – un volume che ha incontrato, però, scarsa attenzione. La parte più importante è l’edizione della Missa Ave Regina celorum del suo amato Guillaume Dufay.24 Perché ritornare a quest’opera dopo l’accurata edizione critica di Besseler del 1951, nel terzo volume della sua Opera Omnia, la Missarum pars altera, il cui apparatus criticus era apparso undici anni più tardi, nel 1962? Basta dare un’occhiata alle dodici colonne di apparato critico nel formato in folio, con centinaia di note in forma abbreviata, difficili da leggere, ancor più difficili da confrontare, lontane come sono dal testo della fonte principale, per capire la convinzione di Feininger che dovesse esserci un modo migliore per presentare questa ultima Messa del grande maestro nelle sue varie lezioni. Indubbiamente la miglior fonte è il manoscritto Bruxelles 5557. Besseler riteneva, sulla base della mistura di lingue che ricorrono nel manoscritto (latino, francese, fiammingo), che esso appartenesse alla corte di Carlo il Temerario di Borgogna (1467-’77). Essendo andati smarriti i manoscritti di Cambrai del tempo di Dufay – così pensava Besseler – il manoscritto di Bruxelles era la fonte più vicina e più centrale che sopravvivesse. Ma le scoperte di Sylvia Kenney suggeriscono che il fascicolo del manoscritto di Bruxelles che contiene la Messa possa veramente essere un manoscritto originale di Cambrai di proprietà di Dufay25, Besseler elogiava la sua eccezionale accuratezza nella collocazione del testo. Le altre due fonti, di minor precisione, contenenti varianti molto significative, sono i manoscritti Roma, San Pietro B 80 e Modena, Lat. 456. Feininger presenta su due pagine a fronte la versione di Bruxelles (sinistra) ed i due altri manoscritti (destra). Questo metodo è tanto semplice quanto ingegnoso. Merita di essere seguito quando importanti opere di quell’epoca sono proposte in lezioni sostanzialmente diverse26.

Mi fermerò soltanto su un risultato particolarmente sorprendente. Il manoscritto di Bruxelles contiene una combinazione stranissima di armatura di chiave: un si bemolle per il tenor, un mi bemolle per il basso, ma nessun segno in chiave per il superius e il contratenor. Mentre il si bemolle nel tenor dura per tutto il Kyrie I, Christe e Kyrie II, il mi bemolle in chiave nel basso termina dopo la prima cadenza perfetta. Nella sua introduzione Besseler scrive (p. XV): «La segnatura in chiave nel basso della fonte di Bruxelles, evidentemente errata, è stata eliminata». Invece il basso del manoscritto di San Pietro contiene pure il mi bemolle – di fatto conserva una segnatura con si bemolle e mi bemolle durante tutto il basso del Kyrie I e del Christe. Ancora più importante, il manoscritto di Bruxelles ripete la segnatura con mi bemolle per le otto misure iniziali, cioè per il «motto» di tutti e cinque i movimenti della Messa. Dovrebbe una segnatura di chiave così precisa e coerente non esser tenuta di conto? Feininger ci apre gli occhi su questa situazione mettendoci a disposizione il testo originale delle tre fonti principali in una edizione «sinottica». Ma quale è il risultato delle segnature di chiave di Bruxelles?

Si può ben comprendere l’esitazione di Besseler ed il suo finale rigetto del suono del «motto» con le numerose false relazioni tra il la e mi bemolle (misure 1-2, 5-6, 7) e tra il mi bemolle e mi naturale (misure 3, 7). L’omissione del mi bemolle produce una lettura senza problemi in un radioso modo ionico. Ma era questa l’intenzione di Dufay? Dopo tutto, il mottetto Ave Regina celorum, su cui si basa questa Messa e che Feininger include in questo suo volume, ha colori di simile oscurità. Poiché i passaggi che li contengono sono composti su parole inserite dallo stesso Dufay, sappiamo che cosa egli voleva esprimere con essi. Ciascuno dei quattro tropi, presenta, in forma leggermente variata, una invocazione alla Vergine perché abbia pietà del compositore, che inserisce il proprio nome nell’antifona mariana.

Questo tropo, simile agli autoritratti di pittori contemporanei in un quadro di Maria, usa le stesse note cromatiche – tranne il la bemolle – che il «motto» della Messa dello stesso nome; perora che si prenda sul serio la segnatura di chiave originale presente nella fonte migliore e più centrale; fa intendere che il compositore vuole che il suo uditorio capisca che egli sta scrivendo la sua ultima Messa già nell’ombra della Morte27. L’individualismo emergente del Rinascimento, per il quale il compositore presenta se stesso in un’opera d’arte religiosa, e la fede medioevale, nella quale paura della morte e speranza di salvezza convivono inseparabilmente, si incontrano nel Mottetto e nella Messa – nella seconda soltanto implicitamente e attraverso il riferimento al Mottetto. L’edizione sinottica di Feininger offre una rivelazione allo stesso tempo personale e musicale del grande compositore.

Un altro straordinario ritorno al secolo XV – straordinario per quanto rivela del mutamento di idee di Feininger rispetto alla tecnica editoriale dei Documenta28 – è la sua edizione di un’unica Missa L’homme armé dal manoscritto Bologna Q 16, la sola a tre voci tra quelle composte sulla canzone. Precedentemente la serie era stata pubblicata in chiavi moderne con valori ridotti delle note; quest’opera appare nelle vecchie chiavi e nei valori originali delle note. Ma Feininger ora indica anche accidenti editoriali. Per quanto soggettive siano le sue decisioni,29 il punto è che egli ora adotta il criterio oggi generalmente adottato di indicare sopra le note gli accidenti che ci si attendeva che i cantori del tempo impiegassero nell’esecuzione, rendendo possibile allo studioso di distinguere tra gli accidenti forniti dalla fonte originale e quelli aggiunti dall’editore. Analogamente, egli ora distingue tra il testo scritto dallo scriba e quello aggiunto dall’editore, facendo apparire il secondo in corsivo. Dopo circa due decadi di meditazione sulla critica dei suoi colleghi, egli finalmente cedeva su un solo punto, contemporaneamente ritrattando il compromesso originale circa le chiavi antiche e i valori di tempo ridotti.

Quanto forti fossero i suoi sentimenti in materia di chiavi antiche lo scoprii quando gli mandai la mia edizione The Medici Codex of 1518 in tre volumi. Fu pieno di lodi per il volume introduttivo, ma non poté perdonarmi di avere pubblicato la musica nelle chiavi moderne. Vale la pena di citare dalla sua lettera del 1° novembre 1968, per avere un’idea della forza di convinzione e dell’impegno personale che motivavano il suo lavoro editoriale:

Se mi è lecito esprimere un qualunque giudizio, per quanto io non sia qualificato, è questo: la vostra indagine della storia del manoscritto e dei suoi contenuti è veramente ammirevole. Avete una cultura in confronto alla quale io non sono neppure un dilettante, e le vostre qualità di investigatore sono sorprendenti. Ma più ammirevole è la tenacia con la quale conducete le vostre ricerche fino in fondo. Sono meno soddisfatto del volume di trascrizioni, a causa delle chiavi moderne che vi sono usate. Io sono più che mai convinto che esse NON VANNO BENE!.. Particolarmente un pezzo l’avrei trascritto (in insipientia dico), a parte le chiavi, in modo completamente diverso: il mottetto NESCIENS MATER [di Mouton]… Spero che non vorrete obiettare se pubblicherò questo pezzo (che conosco attraverso il manoscritto di Verona e la stampa di Norimberga) nei «Documenta Polyphoniae Liturgicae», dove ho già la Messa in canone AVE SANCTISSIMA di Pierre de la Rue. Userò (col vostro permesso) il codice Medici. Ma se non vi va non abbiate scrupoli in proposito. Non occorre che io sottolinei la totale assenza di ogni intenzione polemica, ferma, naturalmente, la fondamentale convinzione sulle chiavi e sui valori di tempo. Arrossisco per la mia mancanza di carattere al tempo in cui pubblicai la Messa di de la Rue al modo «moderno». Se avessi tempo (e denaro), ritratterei solennemente questa serie [i Documenta] e la ripubblicherei secondo le mie vere convinzioni. Dovremmo insegnare meglio ed esigere di più dai nostri studenti di musicologia! Essi perderanno completamente ogni contatto o conoscenza della notazione e della prassi originali, e le nostre edizioni «moderne» passeranno con la «moda» del vostro (VOSTRO, al plurale) sistema di trattare le cose.

Nella mia risposta, dopo averlo ringraziato per il suo caldo apprezzamento della «Historical Introduction», scrissi:

Caro vecchio amico, perché dobbiamo discutere ancora di cose sulle quali siamo stati a lungo d’accordo di essere in disaccordo? Per me sono essenziali, di una edizione, quelle cose che fanno differenza all’ascolto. Che Josquin sia cantato con le chiavi antiche o moderne nessuna udienza potrà mai deciderlo. Ma i cambiamenti che io ho fatto nella disposizione del testo, nella musica ficta e attraverso una scelta delle fonti ed uno studio delle concordanze, a volte nello stesso testo musicale, questi cambiamenti si possono sentire.

Ciò che conta di più, un maggior numero di musicisti può godere delle mie edizioni a causa della più facile leggibilità delle chiavi moderne e della loro maggiore familiarità con esse. Se posso interessare un maggior numero di musicisti, io assolvo il mio compito culturale a modo mio… Moltissimi ringraziamenti per avermi dato un’idea di come vorreste trascrivere NESCIENS MATER……Devo tuttavia suggerivi di omettere le diciture «Primus chorus» e «Alter chorus», o di metterle almeno in parentesi quadre, perché esse falsificano l’originale. Se desiderate pubblicare il pezzo nei vostri «Documenta Polyphoniae Liturgicae», non ho alcuna obiezione; anzi, sarò lieto se userete il codice Medici.

Pur ammettendo che la vostra trascrizione rende più chiara la struttura, sento che ostacola il processo di lettura (ed esecuzione) della partitura e sovraimpone all’originale l’idea di una composizione per doppio coro che non era nella mente del compositore. Ma diverse trascrizioni di una stessa composizione sono istruttive e io non obietterei, anche se aveste un proposito polemico. Siamo abbastanza buoni amici per tollerare una diversità di opinione30.

Feininger non trovò mai tempo per pubblicare Nesciens Mater dal Codice Medici nella sua serie dei Documenta Majora. Per dare un’idea dell’originalità della sua concezione, desidero citare le prime quindici misure come le allegò alla sua lettera: (Inserto partitura)

Guardando oggi alla sua trascrizione, mi colpisce quanto della tecnica del doppio coro di Willaert sia anticipato (les extrêmes se touchent) nell’idea di Mouton di comporre un quadruplice canone – e Willaert, naturalmente, fu discepolo di Mouton. (Dico questo senza pregiudizio dei precursori italiani del coro spezzato di Willaert) 31.

Se passiamo in rivista la serie di pubblicazioni di Feininger nel campo del secolo XVII e della musica policorale, è facile comprendere perché egli non trovò maggior tempo per i suoi progetti sul secolo XV. Una Messa di Benevoli, nella forma «classica» a quattro cori di quattro parti ciascuno, può contare da 80 a 160 pagine di formato in folio – ed egli pubblicò diciannove Messe di Benevoli oltre a numerosi Magnificat, Salmi, e composizioni liturgiche minori. Non contento di ciò, decise nel 1966 di pubblicare un’edizione dell’Opera Omnia di Benevoli, dedicata «ai Padri del Concilio di Trento, il cui zelo creò questo monumento ad essi stessi» (PATRIBUS CONCILII TRIDENTINI QUI HOC SIBI MONUMENTUM COMPARARUNT). Questa edizione non è una ristampa delle opere già pubblicate del maestro romano. Feininger aveva nel frattempo scoperto nuove fonti. Prese inoltre nuove importanti decisioni editoriali. Aggiunse numerose pagine di facsimili che per la prima volta mostravano che aspetto avessero le partiture, le parti delle voci e il basso continuo delle Messe di Benevoli a quattro cori. Nello stesso tempo continuò a studiare questa musica ed a dipanare i misteri del suo processo di composizione. Nel suo scritto su «La scuola policorale romana del Sei e Settecento»32 pone l’interrogativo di come Benevoli giungesse alla tecnica della composizione a sedici parti reali, non soltanto sedici voci che raddoppiassero le stesse note all’unisono o all’ottava nei quattro cori. Riteneva di aver individuato il momento esatto della scoperta della nuova tecnica da parte di Benevoli nell’Incarnatus della Missa sine nomine. Egli presuppone che il processo compositivo cominci con la progettazione dei quattro bassi, continuando poi con i quattro soprani, e terminando con le voci interne33. Sottolinea inoltre come Benevoli dovesse sviluppare un immenso repertorio di formule musicali per arrivare alle sue varie ed eleganti cadenze, che differiscono sostanzialmente da quelle dei suoi contemporanei e imitatori. Tutto questo, egli dice, richiede di essere studiato sia per se stesso che per facilitare le attribuzioni di opere anonime e per correggere false attribuzioni.

La vastità del compito di catalogare, trascrivere, curare editorialmente e pubblicare il nuovo immenso repertorio non lasciava abbastanza tempo per studiare e analizzare la musica. Indubbiamente altri studi scaturiranno in futuro dalle edizioni di Feininger. È da sperare che essi trattino ulteriormente il problema del processo compositivo. Man mano che l’invenzione tematica diventa più importante e più di natura strumentale nell’opera di Benevoli, si può pensare che il processo di composizione, piuttosto che partire dai soli bassi, abbia inizio contemporaneamente con i bassi ed i soprani; più il lavoro tematico permea le voci, più il compositore, dopo aver scritto i bassi ed i soprani, avrà segnato nel suo abbozzo iniziale alcune zone destinate all’elaborazione tematica, tratteggiando brevemente la direzione armonica e lasciando i dettagli al processo successivo di elaborazione. Feininger, che ammirava particolarmente le fughe a sedici parti di Benevoli, fu sicuramente consapevole di tutte queste possibilità.

In stampa apparve anche un notevole corpus musicale di due compositori italiani del tardo Barocco dei quali egli aveva un’alta opinione: Giuseppe Ottavio Pitoni e Giovanni Giorgi. Pitoni (1657-1743) parrebbe essere l’unico dei compositori barocchi editi da Feininger sul quale abbiamo un articolo da parte di un altro musicologo, un fine ed accurato studio di Helmut Hucke,34 pubblicato nello stesso anno in cui apparve la prima edizione di Feininger della Missa Albana per quattro cori di questo maestro. A questa fecero seguito più tardi altre sei Messe, in gran parte per gruppi convenzionali di quattro ed otto voci, e varie altre composizioni liturgiche. Queste composizioni confermano il giudizio di Hucke sulla musica sacra di Pitoni, come musica per il servizio religioso senza pretese artistiche, che rivela però la mano di un artefice bravo e competente.

Compositore di una decisamente maggiore originalità ed invenzione tematica è il successore di Pitoni a S. Giovanni in Laterano, Giovanni Giorgi ( ? -1762), molte composizioni del quale appartengono al chiaro stile tonale dell’ultimo Barocco. Benevoli, nonostante la sua tecnica policorale, scrive ancora molto nello stile antico; Giorgi, per la maggior parte della sua opera, nello stile moderno. La produzione di musica da chiesa di Giorgi fu tale che Feininger, accorgendosi – come dice nella sua prefazione in latino – dei limiti del breve spazio della vita di un uomo, iniziò una nuova serie, il Repertorium Liturgiae Polychoralis, della quale pubblicò due volumi di formato in folio, col supplemento su un Catalogus Thematicus et Bibliographicus Joannis de Georgiis operum sacrarum omnium (Trento, 1962-’65)35. Questo enorme catalogo, redatto secondo le categorie liturgiche e caratterizzato da utilissimi e generosi incipit tematici di tutte le voci, comprende oltre trecento opere esistenti nella Cattedrale di Lisbona, scoperte e generosamente messe a disposizione di Feininger da M. Santiago Kastner. Giorgi ebbe funzioni di maestro di cappella alla corte del re del Portogallo a partire dal 1725, che secondo Fétis ed Eitner sarebbe stato l’anno della sua morte. Feininger pubblicò un catalogo consimile per Pompeo Cannicciari (1670-1744), maestro di cappella della chiesa di Santo Spirito e poi di S. Maria Maggiore a Roma 36.

Con questi eccellenti cataloghi Feininger ha posto una solida fondazione per lo studio futuro di questi importanti maestri della musica da chiesa romana. Sebbene i titoli dei cataloghi li pongano tra i maestri dello stile policorale romano, Giorgi e Cannicciari di fatto scrissero poche opere musicali per più di otto voci, e molte di più per due, tre, quattro e cinque voci con accompagnamento d’organo e, meno spesso, con organo e strumenti. Questi due maestri si staccarono dalla grande tradizione di Benevoli, che aveva radice nello stile di Palestrina;37 essi si unirono alla corrente principale del tardo Barocco, con reminiscenze, forse, di Alessandro Scarlatti. Essi chiusero l’iato tra l’idioma liturgico e il profano del loro tempo e prepararono la strada per gli oratori di Haendel e le cantate di Bach. È merito duraturo di Feininger di aver mostrato come il primo secolo e mezzo dell’opera e della cantata italiana fu anche un periodo di attività vitale nel campo della musica da chiesa, e che Roma, dopo Palestrina, rimase il suo centro.

Per i suoi cataloghi tematici e bibliografici Feininger aveva studiato le fonti musicali delle tre grandi basiliche di Roma, S. Pietro (Cappella Giulia), S. Maria Maggiore e S. Giovanni in Laterano, oltre quelle di biblioteche tedesche, austriache e inglesi. In quasi quaranta anni di studio in Italia, inevitabilmente si incontrò con inventari, tracce o resti di archivi musicali non più esistenti. Un resoconto di alcune delle sue avventure nel seguire le tracce di collezioni perdute o disperse della musica ecclesiastica è contenuto nelle sue due pubblicazioni Membra disjecta reperta e Membra disjecta conjuncta, scritte in italiano33. Esse trattano del repertorio policorale, per la maggior parte dei secoli XVII e XVIII, della Chiesa dell’Ospedale di S. Spirito in Saxia. Non solo egli tracciò la storia di questo importante archivio con competenza di investigatore ed indicò vari luoghi dove oggi si trovano i suoi resti, ma riuscì anche ad individuare una delle sue parti principali e ad acquistarla per la sua biblioteca personale di manoscritti musicali. I due volumi soprattutto offrono un elenco e un catalogo completo di questo grande repertorio di musica39 .

Feininger fu anche un avido collezionista sia di manoscritti che di stampe di canto gregoriano. Egli descrisse e catalogò il contenuto di ciò che possedeva in tre volumi, in latino40. I primi due volumi descrivono manoscritti che vanno dal secolo XIV al XVIII, molti dei quali sono incompleti (Vol. I: Antifonari; Vol. II: Graduali); il terzo volume descrive opere a stampa che vanno dal 1503 al secolo XIX. Ogni volume comprende un indice alfabetico dei canti secondo le categorie liturgiche. Il volume III elenca le antifone e i responsori secondo gli otto toni. Questi indici hanno un valore particolare perché si riferiscono ad un repertorio quasi interamente inaccessibile.

Feininger, nella sua prefazione al primo volume, attribuisce la responsabilità della nostra ignoranza delle fonti più tarde del canto gregoriano al monopolio detenuto dai monaci di Solesmes «i quali preferirono le antiche fonti alle più recenti e rigettarono del tutto quelle di tempi moderni». Così, egli pensava, la storia e l’evoluzione delle singole officiature restò sconosciuta, il loro studio completamente bloccato. Questa era una censura insolitamente severa della grande istituzione dei Benedettini di Solesmes, che, per generazioni, hanno dedicato i loro sforzi allo studio e al ristabilimento del canto gregoriano. Ma Feininger era giunto a non ammettere più compromessi non solo con la maggior parte dei princìpi della musicologia moderna, ma anche con i monaci di Solesmes, e da ultimo neppure con la stessa Chiesa odierna, soprattutto con i cambiamenti in campo liturgico avvenuti in seguito al Concilio Vaticano II. Possiamo seguire la sua crescente disillusione per lo stato delle cose nella Chiesa e nella liturgia, nelle prefazioni in latino delle sue pubblicazioni.

Nel secondo volume del Repertorium Liturgiae Polychoralis del 1964 pubblicò, sotto forma di dedica, un appassionato appello al papa Paolo VI perché non permettesse l’uso del volgare nella liturgia e l’abbreviazione del servizio divino, per non condannare a un silenzio perpetuo gli inestimabili tesori del canto gregoriano e della polifonia vocale classica e barocca:

Comandi, Santo Padre, che il rito solenne venga riportato a quell’altissimo splendore che aveva goduto nei secoli passati; comandi che le cappelle musicali e le scuole dei cantori vengano reinstaurate per la maggior gloria di Dio, sì che Voi possiate apportare guarigione là dove il Nemico ha inferto un’amara ferita 41.

L’appello di Feininger fu un grido nel deserto. In una commovente prefazione al Volume I, che conteneva la descrizione dei molti frammenti di manoscritti di canto gregoriano della sua collezione, egli si paragonò al povero Lazzaro della parabola del Vangelo, seduto ai piedi del ricco Epulone a raccogliere le briciole che cadevano dalla tavola:

La maggior parte della nostra collezione consiste di frammenti e di resti di codici che una volta furono composti con estrema ricchezza e splendidamente miniati, ma ora sono spogliati di tutti i loro ornamenti, spesso ridotti a singoli fogli, destinati a farne paralumi o altri oggetti profani 42.

È a questo punto che egli fa torto ai monaci di Solesmes di ignorare la storia e i documenti più recenti di canto gregoriano. E aggiunge:

Un’altra causa profondamente dolorosa e del tutto imperdonabile è l’abolizione e distruzione dell’intera liturgia latina, sia romana che ambrosiana, non decretata in tal modo dal Concilio Vaticano II, ma arbitrariamente perpetrata da iconoclasti cercatori di novità, completamente inadatti al compito di riforma, che deridono e scherniscono tutti i decreti di quel Concilio e quelli emessi dall’autorità papale.

Una terza causa è l’ignoranza e negligenza dei monasteri e dei capitoli stessi, che, per secoli, hanno avuto il compito di custodire un patrimonio sacro così grande, e che ora consentono all’acqua, ai vermi e ai topi il lavoro di distruzione, e che infine, per un vergognoso profitto, lo cedono a venditori, i quali, guidati dall’aridità e dall’ignoranza, ritagliano questi manoscritti, ne strappano le miniature, e gettano via il resto.

Ma noi abbiamo impegnato il nostro cuore a raccogliere questi resti preziosi per conservarli e trasmetterli alle future generazioni… 43.

Così egli dedicò i primi due volumi, pubblicati nel 1969 e nel 1971, «temporibus futuris melioribus» («a tempi migliori del futuro»). Se gli era rimasto ancora un barlume di speranza, esso era già spento al momento in cui apparve l’ultimo volume, nel 1975, l’anno prima della sua morte. In fondo alla seconda pagina collocò un’affermazione dell’unica certezza rimastagli: ZELUS DOMUS TUAE COMEDIT ME («Lo zelo per la Tua casa mi ha consumato»). Feininger conosceva bene la Bibbia. Il passo che egli scelse come motto per il suo ultimo lavoro ricorre in due libri della Bibbia, uno nel Vecchio, l’altro nel Nuovo Testamento. Li riporto ambedue: Salmo 68, 7-9:

… Per Te ho sopportato ingiuria; vergogna ha coperto la mia faccia.

Sono diventato un estraneo per i miei fratelli, e un forestiero per i figli di mia madre.

Perché lo zelo per la Tua casa mi ha consumato; e gli insulti di coloro che ti insultavano sono ricaduti su di me.

Vangelo secondo San Giovanni 2, 13-17:

Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. E trovò nel tempio quelli che vendevano buoi e pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. E quando egli ebbe fatto una sferza di cordicelle, li scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; e cacciò via i cambiavalute, e ne rovesciò le tavole; e disse ai venditori di colombe: «Portatele via da qui e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato». E i suoi discepoli si ricordarono che era scritto: «Lo zelo per la Tua casa mi ha consumato».

Voleva veramente dire, come il salmista: «Sono diventato un estraneo per i miei fratelli»? Intendeva suggerire che la Chiesa potesse proprio aver bisogno della sferza purificatrice di Cristo? Questi sentimenti sarebbero in accordo con le sue espressioni negli ultimi tormentati anni della sua vita, quando il fondamento del suo lavoro era stato distrutto da Padri del Concilio Vaticano II e, in verità, anche dal Papa stesso – un fatto che egli non si sarebbe mai indotto a riconoscere per mezzo della stampa.

La tragedia della vita di Feininger non può essere disgiunta dalla sua persona. Se ricerchiamo le radici della sua personalità – la volontà indomabile, l’ardente idealismo, l’incessante dedizione a uno scopo concepito nella prima gioventù – le ritroviamo soprattutto nel rapporto intenso e straordinariamente intimo con suo padre, la cui vita di artista personificava tutte queste qualità. Lyonel Feininger (1871-1956) fu uno dei grandi pittori americani ed un appassionato amatore di musica. Ogni abilità nel suonare il piano l’aveva appresa da solo. Devoto a Bach per tutta la sua vita, aveva sempre nel suo studio uno strumento a tastiera. Ogni volta che gli feci visita a New York il Clavicembalo ben temperato era aperto sul leggio della sua spinetta. «Il giorno del mio cinquantesimo compleanno», mi disse una volta, «decisi che era giunto per me il momento di comporre una fuga. E mi misi a sedere e composi una fuga proprio quel giorno». Mise lo spartito di una delle sue fughe per organo sul leggio e mi chiese di suonare le parti dei manuali, mentre lui stesso eseguiva la parte del pedale. Ricordo di esser venuto via con la sensazione che quella era una fuga scavata dal granito, una composizione di sorprendente forza e grandezza.

Laurence, al tempo del cinquantesimo compleanno di suo padre, aveva dodici anni. Precisamente cinquant’anni dopo, per celebrare il centenario della nascita di suo padre, egli pubblicò le fughe di suo padre in facsimile. Era molto più che un atto di omaggio; era un impegno d’amore che era cominciato proprio al tempo in cui le fughe erano state scritte, negli anni ’20. Tra le fonti citate da Laurence nel suo Quellennachweis troviamo la copia di sua mano delle fughe IV, VI, VII, VIII, IX, X con la dedica «Meinem lieben Papileo 45 zum Geburtstage 1925». Laurence non aveva ancora sedici anni. All’età di diciannove offrì nuovamente a suo padre le fughe, questa volta in una edizione di lusso, copiata di nuovo, rilegata in cuoio bianco con impresso il titolo Orgelfugen, con un foglio di guardia dorato, e protetta da una custodia verde. Era un regalo di Natale.

Lorenzo aveva creato un prezioso manoscritto musicale. Avrebbe poi dedicata tutta la sua vita allo studio di manoscritti musicali. Contrappunto, canone, fuga lo affascinarono senza fine – e, naturalmente, egli stesso scrisse fughe. Le fughe di suo padre non furono soltanto un oggetto dei suoi sforzi come scriba; si provò anche ad eseguirle. Hans Hess, nel suo monumentale studio Lyonel Feininger, riferisce dei giorni d’estate felici che il pittore trascorreva con sua moglie e i suoi tre figli a Deep, sul Mar Baltico: «Con Laurence egli andava alla chiesa del villaggio e ascoltava suo figlio che suonava Bach, Buxtehude, e le composizioni dello stesso Feininger»46 . E anche Laurence riferisce: «Le più belle esperienze erano per lui i tentativi, per lunghe ore, di strimpellare nella piccola chiesa di Ost-Deep sull’organo, tentativi con i quali io mi adoperavo a portare al suo orecchio le fughe (allora non avevo ancora cominciato a studiare l’organo)» 47.

Senza dubbio, il provare queste fughe sull’organo del villaggio rientra tra le esperienze più importanti della sua vita, con suo padre che ascoltava, incoraggiava il giovane musicista e gli diceva quanto egli preferisse il suo modo imperfetto di suonare alle levigate esecuzioni di certi concertisti d’organo che si erano cimentati con tali composizioni senza però comprenderle 48. Né erano facili da comprendere: dense strutture ciclopiche, con occasionali punti maldestri, quinte e ottave parallele, armonie non ortodosse, risoluzioni non convenzionali, ma modellate da una poderosa mano di architetto, che apparentemente seguivano la tecnica fugale di Bach, ma in un linguaggio oscillante tra tonalità bachiana e cromatismo del secolo XIX, con tocchi di modalità – un linguaggio che prende a prestito dal vecchio e dal nuovo, ma è chiaramente quello di Lyonel Feininger (vedi l’Es. 4). (Inserto partitura)

Gli XI Preludes and Fugues for the Virginal, Harpsichord or Organ di Laurence Feininger49 devono molto all’esempio del padre. Ma evidentemente sono le opere di un musicista di professione; per quanto ascetiche esse appaiano in se stesse, in confronto a quelle di Lyonel sono ariose, eleganti, ritmicamente raffinate. Possono non avere la poderosa individualità del padre, ma hanno maggiore unità stilistica, e appartengono all’indirizzo contrappuntistico antitonale, quasi modale dell’inizio del secolo XX, mentre incorporano procedimenti del secolo XV quali un canone mensurale (nel Preludio XII; vedi l’Es. 5) e l’aumentazione del tema della fuga nella proporzione 3:2 (nella Fuga XII; vedi l’Es. 5 misure 19 e sgg.) nel punto in cui il motivo principale del preludio entra come contrappunto al soggetto della fuga in aumentazione50.

Questi furono gli anni durante i quali Lyonel dipingeva chiese, cattedrali, campanili, torri – non meno di ventidue chiese, esplicitamente citate per nome, tra il 1920 e il 1930, tra le quali la Chiesa dei Minoriti II (in Erfurt) nel 1926 (foto in alto). Tre dei dipinti di chiese di suo padre erano in possesso di Laurence. Per quanto il vecchio Feininger non usasse andar in chiesa, e addirittura non avesse fatto battezzare i suoi figli, nei suoi dipinti di vecchie chiese tedesche c’era uno spirito di religiosità quasi medievale che non poté non avere un impatto profondo su Laurence negli anni più facilmente impressionabili della sua vita.

C’era un’eredità religiosa anche dal lato di sua madre – e Laurence ne era consapevole. Mi raccontò che tra gli antenati di sua madre c’era un rabbino – ed anni più tardi egli trovò il tempo di studiare i primi libri che apparvero sui rotoli del Mar Morto. Entrambi i suoi parenti erano credenti non praticanti, la cui fede era tutt’uno con una vita di integrità, creatività e spiritualità artistiche. Julia Feininger era stata ella stessa una giovane artista quando incontrò Lyonel, ma dedicò tutta la sua vita a sostenere, incoraggiare, e a lavorare con suo marito, del quale traduceva le lettere e catalogava le opere 51. Laurence, in un atto di libera autodefinizione, stava risalendo ad antiche risorse di pensiero e fervore religiosi che scorrevano profondamente sotterranee nella sua eredità quando dedicò la sua vita intera allo scopo visionario di restaurare l’antica liturgia Cattolica Romana e la sua musica.

A giudicare dalla sua opera ci si sarebbe potuti aspettare che Laurence fosse un austero uomo in veste talare. Niente potrebbe essere più lontano dalla realtà. Egli era estremamente privo di pretese, gentile e molto cordiale, ispirato da un costante senso di umorismo – anche questo un’eredità derivata dal padre, che aveva cominciata la sua carriera come cartoonist di successo. Lo ricordo in visita dai suoi genitori a New York, che continuava a trascrivere e copiare musica mentre portava avanti animate conversazioni, sorridendo e scherzando, ascoltando e rispondendo. Con i colleghi fu sempre generoso: condivideva gioiosamente le sue conoscenze, i suoi microfilm, le sue trascrizioni, i suoi cataloghi tematici.

Nell’autunno del 1947, quando la Biblioteca Vaticana chiudeva all’una, mi risparmiò tempo prezioso mettendo a mia disposizione i suoi cataloghi tematici dei manoscritti della Cappella Sistina, e lasciandomi fare tutte le copie che volevo del suo materiale.

C’era una cosa della quale non era generoso: il suo tempo. Dopo che mi ero trasferito in California divenne difficile per me fare in modo di vederlo durante le sue visite ai genitori e, dopo la morte di suo padre, a sua madre. Non riusciva a concepire l’idea di venire a vedermi – benché vi fossero molte cose che desiderava discutere. In un eccesso di generosità una volte scrisse: «Vorrei che voi foste ancora a New York; sacrificherei certamente un giorno intero per stare con voi»52, Bisognava conoscerlo per rendersi conto che stava offrendo di fare un gran sacrificio.

Nella sua organizzazione del tempo, nel suo bisogno di solitudine, nella sua assoluta dedizione al suo lavoro, Laurence era molto simile a suo padre. Ma il lavoro di suo padre non dipendeva da un’istituzione al di fuori; quello di Laurence sì, e in ciò stava il suo tragico dilemma. Nessuno può dire se il risultato finale sarebbe stato differente se egli fosse stato disposto a lavorare all’interno della Chiesa – benché, a volte, un uomo al posto giusto possa costituire una vitale differenza – mentre è ora chiaro che l’opera di Feininger restò del tutto senza conseguenza per l’istituzione alla quale egli aveva dedicato la sua vita. Le prefazioni delle sue ultime opere rivelano la sua crescente disperazione. Quando perse il controllo della sua auto nelle montagne sovrastanti la sua amata Trento nel gennaio del 1976, aveva perduto ogni speranza che la Sancta Ecclesia Romana – che egli concepiva meno come Ecclesia militans et triumphans che come Ecclesia orans et cantans – veramente esistesse. Senza latino non c’era né canto gregoriano, né polifonia religiosa, né certamente una liturgia sacra. Senza la liturgia tutto il suo lavoro era stato per nulla.

Il lavoro di Feininger decisamente non è stato per nulla nel campo della musicologia. Le sue edizioni aprono nuovi capitoli nella storia della musica dei secoli XV e XVII. Soprattutto – occorre ripeterlo – esse stabiliscono nuove esigenze di livello nei riguardi dell’esattezza; ed esattezza nell’edizione di testi, verbali e musicali, è il Credo dello studioso; il suo obbligo verso l’artista del quale presenta le opere, e del quale la creazione dipende interamente dallo sforzo infinitamente disinteressato e fedele dello studioso. Questo è stato riconosciuto, come abbiamo visto, da tutta la comunità musicologica, e da nessuno con maggior forza che dallo scomparso Manfred Bukofzer, il quale in una recensione dei Monumenta Polyphoniae Liturgicae scrisse: «Per quanto riguarda il testo musicale dei Monumenta, esso è, come il confronto ha rivelato, un modello di precisione e affidabilità, e soddisfa le più rigorose esigenze di scientificità» 53.

S’impone la domanda: che cosa occorre fare con le edizioni esistenti una volta che la stampa sarà esaurita? che cosa occorre fare dell’enorme corpus di trascrizioni che Feininger non trovò possibile pubblicare, e specialmente delle sue trascrizioni di interi volumi dei Codici Trentini e dei manoscritti della Cappella Sistina? Si tratta di manoscritti di somma importanza. La loro pubblicazione nel loro ordine originale e nella loro totalità costituirebbe un beneficio di valore incalcolabile per lo storico della musica, in particolare per lo storico della musica del Rinascimento – un campo che oggi in nessun luogo fiorisce più abbondantemente che negli Stati Uniti. Quando ero a Roma nel 1947, Feininger mi permise di fotografare la parte che più mi interessava della sua trascrizione del manoscritto Cappella Sistina 15: i Mottetti. La foto a p. 10 mostra un esempio dell’accuratezza e nitidezza delle sue trascrizioni, che oggi stanno all’Istituto Pontificio di Musica Sacra.

Secondo le sue stesse disposizioni, un altro centro dell’opera di Feininger, contenente la sua collezione di stampe e manoscritti, il suo immenso archivio fotografico e le sue trascrizioni, è la Biblioteca del Museo provinciale d’arte di Trento, che si giova del consiglio di Danilo Curti, devoto assistente e allievo di Feininger.

Occorre che sia pubblicata una competente ricognizione dei contenuti, collocazioni e condizioni delle trascrizioni di Feininger. Dovrebbe essere convocato un piccolo comitato di esperti per considerare modi e mezzi per portare in luce l’opera non pubblicata di uno degli studiosi di musica più dotati di talento, più laboriosi e più pieni di dedizione del nostro tempo.

 

POSTSCRIPTUM

Le bozze di questo saggio mi raggiunsero a Roma. Colsi l’opportunità per visitare il Pontificio Istituto di Musica Sacra. Grazie alla gentilezza del direttore, Monsignor Ferdinand Haberl, e l’aiuto del segretario, Sig. Rag. Aldo Bartocci, mi furono mostrate le trascrizioni di Feininger da manoscritti della Cappella Sistina. Fui estremamente stupito di trovare quattordici monumentali volumi in folio, tutti rilegati, tutti scritti con la stessa minuta e meticolosa grafia. Nove volumi sono di Messe, uno di Magnificat, uno di Inni, Magnificat e Salmi, e tre di Mottetti. Ovviamente il grande corpus di edizioni pubblicato da Laurence Feininger è nulla più che la proverbiale punta dell’iceberg.

Ancora una volta: alle associazioni nazionale e internazionale di musicologia incombe un obbligo enorme di intraprendere la pubblicazione del lascito scientifico di Feininger e di metterlo in condizione di essere pienamente usato e goduto dal mondo musicale e musicologico. Il materiale raccolto da Feininger è abbastanza da tenere occupata un’intera generazione di musicologi. L’eccellenza e la superiorità dei manoscritti della Cappella Sistina sta appena cominciando ad essere scoperta. L’importanza dei Codici Trentini è stata da gran tempo riconosciuta. Comincia a farsi chiaro per noi il gran significato della musica policorale del Barocco.

Feininger ha forgiato una chiave maestra per un tesoro unico. Incombe su di noi l’obbligo di portarlo alla luce.

 

Traduzione dall’inglese di Nino Pirrotta e Sante Centofanti.

Da: “La Biblioteca musicale Laurence Feininger”, a cura di D. Curti e F. Leonardelli, Museo provinciale d’Arte, Trento, 1985, pp. 8-36 (mancano le tavole musicali)

 

 

*  Quest’articolo fu originariamente pubblicato in inglese in «The Musical Quarterly», LXIII (luglio 1977), pp. 327-66, col titolo Laurence Feininger (1909-19767): Life, Work, Legacy. Ringrazio «The Musical Quarterly» per il suo cortese permesso di farlo tradurre per la presente occasione.

Sono profondamente in debito verso T. Lux Feininger, fratello di Laurence, pittore come suo padre, che infaticabilmente ha risposto a domande, fornito informazioni, molte delle quali tratte dalla voluminosa corrispondenza di Laurence con i suoi genitori, e messo a mia disposizione una quantità di pubblicazioni di Laurence che non avevo prima potuto consultare. È sua la fotografia del fratello qui pubblicata. Inoltre egli ha fornito la foto del quadro di Lyonel Feininger La Chiesa dei Minoriti (Erfurt) dal lascito di Julia Feininger. Desidero esprimergli i miei più cordiali ringraziamenti.

 

NOTE

1  Ora disponibile in una edizione in facsimile di Vivarelli e Gullà; 7 volumi (Roma, 1969-70).

2  Vedi la mia relazione su The State of Musical Manuscript in Italy, pubblicata nel primo numero del «Journal of the American Musicological Society», I (1948), pp. 47-49, che si basa principalmente sulle conversazioni da me avute con Laurence Feininger a Roma nel 1947.

3  Vedi la recensione di Edwin Hanley del Repertoriaum Liturgiae Polychoralis, voll. I e II, in «The Musical Quarterly», LIII (1967), pp. 270-76. Hanley elogia la eccellente qualità dei cataloghi delle opere dei due compositori romani del sec. XVIII, Giovanni Giorgi e Pompeo Cannicciari, e illustra l’efficacia con la quale i cataloghi eliminano precedenti attribuzioni errate basate su una incompleta conoscenza delle fonti. Fa notare però che Feininger trascurò fonti importanti del British Museum, della Österreichische National Bibliothek e della Biblioteca del Conservatorio di Napoli (p. 275).

4  Questo risulta chiaro dal giudizio dei recensori: Otto Gombosi, «Notes», VI (1948), pp. 174-76; Manfred Bukofzer, «The Musical Quarterly», XXXV (1949), pp. 334-40; Oliver Strunk, «Journal of the American Musicological Society», II (1949), pp. 107-10; Milton Steinhardt, «The Musical Quarterly», XLII (1956), pp. 546-49. Soltanto Dragan Plamenac, «Notes», VI (1949), pp. 484-85, si astenne da ogni discussione dei metodi editoriali di Feininger, perché lui stesso aveva pubblicato due anni prima il secondo volume delle Collected Works di Ockegehem con le vecchie chiavi e i valori di tempo originali, sentendosi obbligato a seguire lo stile delle Publikationen älterer Musik, secondo il quale era stato pubblicato il Vol. I.

5   I recensori citati nella nota precedente sono unanimi nell’elogiare la nuova iniziativa di Feininger, il suo grande valore, l’importanza delle opere scelte, la competenza e l’accuratezza della realizzazione. Tuttavia Charles Hamm, in A Chronology of the Works of Guillaume Dufay Based on a Study of Mensural Practice (Princeton, 1964), p. 135, pur riconoscendo in generale 1’accuratezza di Feininger, lo critica per avere eliminato alcune «conflicting signatures – C in una voce contro ¢ o C2 in un’altra», dando a tutte le voci lo stesso segno «senza alcuna indicazione della lezione originale». Hamm aggiunge quattro illustrazioni di questa sua critica. Bisogna dire, purtroppo, che tre di esse sono per la maggior parte incorrette: 1) Nell’edizione di Feininger di composizioni di cicli del Proprio tratte dal codice Trento 88 è detto che l’Alleluia verbo Domini ha «02 per tutte e tre le voci, dal principio alla fine» invece di C2 302 per il superius, 02 per il contratenor ed il tenor. In realtà Feininger ha 02 3 2 per il superius, 02 per il contratenor e il tenor. 2) È detto che nell’Alleluia dulce lignum il manoscritto (fol. 138V-139) ha 02 3 C nel superius; di fatto essa porta C 02 3 C. Feininger è accusato di avere «C in tutte le voci», mentre la sua edizione riporta C 3 C per il superius. 3) È detto che nell’Alleluia in conspectu il manoscritto (fol. 150V-151) ha «02 nel tenor contro C nelle altre due voci». In realtà il codice Trento 88 non porta alcun segno di tempo per gli inizi del superius e del contratenor; queste due parti prendono più tardi i segni di tempo 3 e successivamente C, che appaiono entrambi nell’edizione di Feininger.

Tutto ciò che resta della critica di Hamm è che Feininger usa in modo intercambiabile i segni tempo 02 e C2 (osservazioni 1 e 2), e 02 e C (osservazioni 3 e 4). Sono d’accordo con Hamm nel supporre che Feininger «aveva buone ragioni» per il suo modo di procedere e nell’affermare che egli avrebbe dovuto annotare la sua deviazione dal manoscritto. Ma l’accusa di fondo che «conflicting signatures … sono state eliminate arbitrariamente» non può essere sostenuta in tre dei quattro casi.

6  Alejandro Enrique Planchart, Guillaume Dufay’s Masses: Notes and Revisions, «The Musical Quarterly», LVIII (1972), pp. 1-23, particolarm. p. 4, n. 15. A pp. 12-13 Planchart cita «un piccolo dettaglio trovato in LuC che è risultato più atto a incuriosire che ad illuminare. La prima comparsa del cantus firmus in LuC porta la dicitura ‘Caput drachonis’. Il rapporto tra il tenor e un drago resta un mistero, e può essere, come suggerisce [Reinhard] Strohm (Ein unbekantes Chorbuch des 15. Jahrhunderts, «Die Musikforschung», XXI [1968], pp. 40-42), niente più che un titolo ispirato dalla notazione della melodia…»; le note iniziali sono scritte come una legatura (pes) (Strohm, p. 41). Planchart fa osservare che «l’inizio della Messa Caput [di Ockegehem, nel codice Chigi] mostra, come sua più notevole decorazione, un enorme drago (fol. 65r)».

Sia questa decorazione che la dicitura manoscritta di LuC si possono spiegare con riferimento all’antifona Caput draconis Salvator contrivit, che appare nel Worcester Antiphonary (Paléographie Musicale, XII; Tournai, 1922), p. 59, come la quarta di una serie di nove antifone tutte riferentesi al battesimo di Cristo. Otto di queste antifone (compresa Caput draconis, possono essere trovate nelle Variae preces (Solesmes, 1901), pp. 95-96. La maggior parte di esse sono composte sulla stessa melodia, salvo aggiunte dove un testo più lungo le richiede, melodia che pare non aver nulla a che fare con il cantus firmus della Messa. L’antifona Caput draconis è collegata a Venit ad Petrum, la fonte del melisma Caput, non solo per la parola «caput», ma anche attraverso un tema simbolico: quando Gesù viene battezzato, Giovanni Battista versa acqua sulla sua testa; quando, nell’atto di lavare i piedi ai suoi discepoli, Gesù arriva a Pietro, questi chiede al Maestro di lavargli non solo i piedi ma anche la testa.

Stranamente la melodia dell’antifona Caput draconis è identica a quella dell’antifona Veterem hominem (Variae preces, p. 95), il cantus firmus della Messa anonima che Feininger attribuiva a Dufay. Forse ci fu una volta un manoscritto che chiamava quest’ultima Missa Caput. Difatti Planchart ipotizza l’esistenza di una tale Messa, perché il tenor della Messa di Ockegehem porta la dicitura «Alterum caput…» in due fonti.

7  Alejandro Enrique Planchart, ed., Missae Caput (Collegium Musicum, n. 5, New Haven, 1964). Troviamo qui una affermazione sorprendente: «Non c’è stata finora alcuna edizione critica attendibile della Messa di Dufay».

Abbastanza stranamente Besseler, che nell’Opera Omnia fa riferimento all’edizione di Feininger delle composizioni sul Proprio della Messa del codice Trento 88, omette anch’egli ogni riferimento alla sua edizione della Caput, che era apparsa tredici anni prima di quella di Planchart e nove anni prima di quella dello stesso Besseler. Planchart critica severamente l’edizione di Besseler senza citare gli errori. Certamente essa contiene parecchi errori di stampa e di trascrizione. Sfortunatamente anche l’edizione di Planchart non è esente da errori; in particolare, un buon numero dei suoi «emendamenti» sono, a mio giudizio, «corruzioni» del testo di Dufay. Ripeto: l’edizione di Feininger è a tutt’oggi la migliore che si possa avere.

8  Peter Gülke nel suo articolo su Standley, MGG, vol. XII, col. 1171; Richard Loyan, Canons in the Trent Codices (American Institute of Musicology, 1967), p. XI, n. 20.

9  Feininger ha richiamato l’attenzione su una strana caratteristica di notazione: «nelle fonti originali [Oxford Canon. Misc. 213, Bologna Q 15, Trento 87, 90, 92, Aosta] vi è un continuo alternare tra tempus perfectum (integer valor) e tempus perfectum diminutum. Così il Kyrie, che si ripete tre volte, verrebbe (secondo questi segni) eseguito la prima e la terza volta in tre ottavi, e la seconda volta in tre quarti; lo stesso, all’inverso, vale per il Christe e secondo Kyrie. [Soltanto nel codice Trento 92 il Kyrie I porta O Ø O]. Parimenti, nel Gloria e Credo vi è il continuo scambio tra integer valor (nel Gloria nei duetti, nel Credo nei ripieni) e proportio dupla (viceversa). Questo fenomeno si trova quasi esclusivamente in composizioni di Binchois. Crediamo che non vi possa essere un significato ritmico, almeno non nel senso letterale: sarebbe assurdo voler cantare le parti contrassegnate col segno tagliato a doppia velocità, specialmente quando si tratta di ripetizione della medesima cosa». Per una volta Feininger non crede alle fonti, benché ce ne siano cinque per il Kyrie, tutte concordi nell’alternare regolarmente i segni di tempo. Egli però ci informa di ciò che esse dicono. Charles van den Borren in Polyphonia sacra (Burnham, 1932), pp. 53-74, diede un’edizione del Gloria e del Credo con la riduzione 1:2 per le parti in O e 1:4 per quelle in Ø. Feininger riduce 1:4 dal principio alla fine. Ho eseguito il Kyrie della Messa proprio come scritto con i miei studenti. Trovammo il risultato affascinante ed artisticamente convincente, per quanto il procedimento possa essere stato inconsueto e forse unico.

10  Vedi la nota 4.

11 Missa Caput auctore Guglielmo Dufay cum aliis duabus missis anonymis Veterem hominem et Christus surrexit eidem, auctori adscribendis (Monumenta Polyphoniae Liturgicae Sanctae Ecclesiae Romanae, Series I, Tomus II,1). Missa Ecce ancilla Domini auctore Guglielmo Dufay cum altera missa anonyma super Puisque je puis eidem auctori adscribenda (ibid., Tomus II, 4). Auctorum Anonymorum Missarum Propria XVI quorum XI Guglielmo Dufay auctori adscribenda sunt (ibid., Series II, Vol. I; Roma, 1947).

12 Vedi le recensioni dei Monumenta Polyphoniae Liturgicae, Series I, Vol. II, fasc. 1, 2, 4, già citate nella nota 4: quella di Manfred Bukofzer, particolarmente le pp. 335-37, e quella di Milton Steinhardt. Vedi inoltre Charles Hamm, A Chronology of the Works of Dufay, pp. 146-47, che trova le attribuzioni a Dufay di tre Messe anonime (Christus surrexit, Veterem hominem e Puisque je vis) fatte da Feininger più convincenti «dal punto di vista dell’uso mensurale» che quelle «degli undici cicli del Proprio». D’altra parte Heinrich Besseler, editore dell’Opera Omnia di Dufay, accettò la Missa La Mort de Saint Gohard nel canone delle opere del maestro e la pubblicò nell’appendice al Vol. II dell’Opera Omnia (Roma, 1960). Egli rigettò le tre messe ammesse da Hamm. Curiosamente lo stesso Feininger più tardi cambiò opinione sulla paternità della Messa di St. Gothard: nel 1963, tre anni dopo la pubblicazione di Besseler, egli la pubblicò come auctoris ignoti nei Monumenta Polyphoniae Liturgicae, Series I, Tomus II,3 (Trento, 1963), sottolineando nella prefazione di avere in precedenza attribuito la Messa a Dufay, ma di pensare ora che fosse opera di Johannes Martini. Non diede però spiegazione alcuna del suo cambiamento d’opinione.

13 Dufay at Cambrai: Discoveries and Revisions, «Journal of the American Musicological Society», XXVIII (1975), pp. 175-229: 198.

14 È infatti una composizione a due parti con una conclusione a tre parti (vedi Monumenta Polyphoniae Liturgicae, Series II, Tomus I; Roma 1947), pp. 90-93.

15 Dufay at Cambrai, pp. 198-99.

16 Citato in June L. Ness, ed., Lyonel Feininger (New York e Washington, 1974), p. 163.

17 Lettera ai genitori del 26 novembre 1950.

18 In Atti del Congresso Internazionale di Musica Sacra (Tournai, 1952), pp. 295-97; una versione più ampia dal titolo Sulla necessità di catalogare… fu stampata come N° I degli Acta Societatis Universalis Sanctae Ceciliae (Trento, 1950).

19 Ibid., p. 2 della ristampa.

20 Ibid., pp. 1-2.

21 Ibid., p. 4.Qualche anno più tardi Hans Albrecht ha mostrato la parte avuta dalla pratica del contrafactum nei Bicinia di Rhaw; vedi Zur Rolle der Kontrafaktur in Rhaus “Bicinia” von 1545, Ein Vorbericht, in Festschrift Max Schneider zum achtzigsten Geburtstage, ed. Walther Vetter (Leipzig, 1955), pp. 67-70. Sembrerebbe che egli non fosse a conoscenza del suggerimento di Feininger; non c’è alcun riferimento al suo scritto.

22  Feininger diede un resoconto preliminare delle sue scoperte durante lo stesso congresso (Atti del Congresso, p. 298).

23 In una lettera del 13 aprile 1965 egli mi scrisse: «In questi ultimi due anni ho ripreso a lavorare sul secolo XV, senza interrompere il lavoro sui secoli XVII e XVIII. Potete credermi che ho pensato a voi intensamente ogni volta che decidevo di rituffarmi in quel periodo, specialmente ora che sto completando la pubblicazione delle Messe L’HOMME ARMÉ: Napoli 3 è già in stampa, 4 dall’incisore, 5 sta per essere completata in manoscritto e 6 seguirà subito dopo. Contemporaneamente sto preparando, come un volume a parte, una discussione dell’opera intera».

24 Nel 1968 l’American Institute of Musicology pubblicò uno studio di Judith Cohen su The Six Anonymous L’homme armé Masses in Naples, Biblioteca Nazionale, MS VI E 40, nel quale l’edizione di Feininger delle prime quattro Messe è menzionata una sola volta in una nota.

25 Missa Ave Regina celorum Gulielmi Dufay synoptice secundum, fontes praecipuos una cum Missa La Mort de Saint Gothard auctoris ignoti juxta codicum fidem (Monumenta Polyphoniae Liturgicae, Series I, Tomus II,3; Trento, 1963).

25 Vedi Origins and Chronology of the Brussels Manuscript 5557 in the Bibliothèque Royale de Belgique, «Revue belge de musicologie», VI (1952), pp. 75-100, particolarmente p. 96. Kenney qui ricorda che il testamento di Dufay riferisce di sei libri di composizioni lasciati in eredità a Carlo di Borgogna. L’inventario del pacco di libri mandati al duca al tempo della morte di Dufay elenca tra altre opere «la messe Ave Regina celorum».

26 Feininger rende giustizia alle lezioni dei manoscritti Bruxelles e San Pietro B 80, ma manca di annotare le varianti tra San Pietro e Modena, delle quali soltanto alcune sono citate in nota. Una collazione delle due fonti indica che le lezioni di Modena sono più vicine a quelle di Bruxelles che a San Pietro; sarebbe stato meglio mettere insieme i manoscritti Bruxelles e Modena e annotare le loro varianti, molto meno numerose che quelle tra San Pietro e Modena. La versione di San Pietro è incompleta. La nota di Feininger a p. 41, che dal Pleni fino alla fine segue il manoscritto di Modena, non rivela che dalla metà del Sanctus alla fine della Messa la musica copiata appartiene ad una Messa differente.

27 Planchart ha sostenuto nel modo più convincente che la Messa sia stata composta per la solenne consacrazione della cattedrale di Cambrai alla Vergine Maria, avvenuta il 5 luglio 1472 (Guillaume Dufay’s Masses, p. 21).

28 Con questa edizione, pubblicata nel 1964, egli iniziò una nuova serie, Documenta Majora Polyphoniae Liturgicae, formato in folio.

29 Egli dice nella prefazione che «la tonalità del pezzo sembra decisamente richiedere il si bemolle in chiave». Questo lo porta a false relazioni e al risuonare simultaneo di si bemolle e si naturale, che io ritengo impossibile in musica del secolo XV.

30 Lettera del 22 dicembre 1968.

31 Vedi Giovanni d’Alessi, Precursors of Adriano Willaert in the Practice of Coro spezzato «Journal of the American Musicological Society», V (1952), pp. 187-210.

32  Collectanea Historiae Musicae, II (Firenze, 1957), pp. 193-201.

33  Lorenzo Penna in Li Primi Albori Musicali (4a ediz., Bologna, 1684), pp. 97-99, spiega la tecnica di comporre per due, tre e quattro cori di quattro voci progettando i bassi dei vari cori. Mostra due esempi di come condurre le parti dei bassi dei quattro cori, uno facendo andare insieme all’unisono una coppia di bassi, l’altro dando una parte indipendente ad ogni basso.

34 G.O. Pitoni und seine Messen im Archiv der Cappella Giulia: Ein Beitrag zur Geschichte der römischen Messkomposition im 17./18. Jahrhundert, «Kirchenmusikalisches Jabrbuch», 39 (1955), pp. 70-94. Vedi dello stesso autore l’articolo in MGG, vol. X, coll. 1308-10, dove arriva alla conclusione: «Seine Musik ist durchweg anspruchslose Gebrauchsmusik, aber sie ist stats gekonnt und sauber gesetzt» (col. 1310).

35 Per un’eccellente recensione di quest’opera vedi Oscar Mischiati in Rivista Italiana di      Musicologia, I (1966), pp. 145-47. Vedi anche la nota 3.

36  Vedi Siegfried Gmeinwieser in MGG, vol. XV, coll. 1291-92.

37 Vedi la recensione delle prime edizioni di musica di Benevoli, pubblicata da chi scrive in «Seventeenth Century News», XII (1954), p. 21. Vedi anche la recensione di Bukofzer in «The Musical Quarterly», XLI (1955), pp. 528-32, in cui parla della sua visita a Trento, dove udì il coro di Feininger eseguire alcune musiche di Benevoli: «I shall not forget the impression it made».

38  «Acta Societatis Universalis Sanctae Ceciliae», Nn. 3 e 4 (Trento, 1964 e 1966).

39 Wolfgang Witzenmann scrisse un’importante critica di queste opere in «Die Musikforschung», XXV (1972), pp. 205-07.

40 Repertorium Cantus Plani, 3 voll. (Trento, 1969, 1971, 1975).

41 Catalogus Thematicus et Bibliographicus Pompei Cannicciarii operum sacrarum omnium (Repertorium Liturgiae Polychoralis, vol. II, Trento 1964), p. III.

42 Repertorium Cantus Plani, vol. I, p. 5.

43 Ibid., pp. 5-6. The Constitution on the Sacred Liturgy of the Second Vatican Council and the Motu proprio of Pope Paul VI (Glen Rock, NJ., Paulist Press, 1964) occasionalmente fa accenni puramente verbali alla presentazione del rito latino (art. 36,i), ma l’accento è posto senza ombra d’errore sull’introduzione del volgare: «dacché l’uso della lingua madre, sia nella Messa che nell’amministrazione dei sacramenti, o in altre parti della liturgia, spesso può essere di gran vantaggio al popolo, i limiti del suo impiego possono essere estesi» (art. 36,ii). L’articolo finisce con un chiaro ordine (iv): «Traduzioni dal testo latino nella lingua madre che siano destinate ad essere usate nella liturgia devono essere approvate dalla competente autorità ecclesiastica territoriale sopra detta».

Se fosse rimasto alcun dubbio, il motu proprio di papa Paolo VI lo avrebbe dissipato. Nel paragrafo 9 (pp. 80-81) il papa stabilisce: «Poiché secondo l’articolo 101 della costituzione coloro che hanno obbligo di recitare l’ufficio divino possono in vari modi aver facoltà di usare traduzioni nella propria lingua madre al posto del latino… prescriviamo l’osservanza di questo uso ogni volta che un testo liturgico latino è trascritto in volgare…».

Inoltre il papa vieta a «qualsiasi altra persona, anche se è un prete», di «aggiungere, rimuovere o cambiare qualsiasi cosa nella liturgia di propria autorità» (paragrafo 11, p. 81). L’appello di Feininger al papa fu lanciato nel 1964. Il motu proprio di Paolo VI è «Dato a Roma, in S. Pietro, il 25 gennaio 1964, festa della Conversione di S. Paolo Apostolo, nel primo anno del nostro pontificato» (ibid., p. 81).

Se nell’anno 1964 era ancora concepibile un malinteso, nel 1969 Padre Feininger, nei fatti se non nelle parole, si ribellava contro una chiara manifestazione di autorità papale. Egli deve aver seguito con fervida speranza gli sforzi dell’arcivescovo francese Marcel Lefebvre in favore del rito latino. Quando l’arcivescovo, rispondendo all’esortazione del Pontefice che rinunziasse alla sua posizione isolata, dichiarò: «Io sto con venti secoli della Chiesa», Padre Feininger deve avere applaudito di cuore. Non volendo attendere a un servizio che per lui era diventato un travisamento, si rifugiava in una piccola cappella a Trento, dove celebrava la sua Messa giornaliera secondo l’antico rito latino; vedi Danilo Curti, K.J. Laurence Feininger, «Studi Trentini di Scienze Storiche», LV (1976), pp. 64-71; 68.

44 Das musikalische Werk Lyonel Feiningers. Mit fünf erstmals veröffentlichten Zeichungen des Künstlers und einem Vorwort, Lyonel Feininger und die Musik (Tutzing, 1971).

45 Vezzeggiativo di Lyonel in famiglia durante tutta la sua vita.

46 Hans Hess, Lyonel Feininger (New York, 1959), p. 100.

47 Laurence Feininger, Das musikalische Werk Lyonel Feiningers, p. 8.

48 Ibid.

49 Composte nel 1933-34 e pubblicate nel 1972, sono dedicate «Alla memoria di mio Padre nel 101° anniversario della sua nascita 1871-1972».

50 Se il lettore si chiede come possa un Preludio e Fuga XII apparire in una collezione di XI Preludi e Fughe, una estrosa nota potrà illuminarlo: «Nota dell’Autore: il N° 11 è stato perduto; potrà saltar fuori qualche volta».

51 Il suo «catalogo dell’oeuvre, un modello di accuratezza ed acume», è stato incorporato nella monografia di Hans Hess (pp. 245-300).

52  Lettera dell’8 febbraio 1959.

53 «The Musical Quarterly», XXXV (1949), p. 337.